VERONA, PER TORNARE A GUADAGNARE FRUTTA SECCA, BAMBÙ E LUMACHE AL POSTO DI PESCHE, CILIEGIE E KIWI

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Nocciole, noci, more, bambù e lumache al posto di pesche, ciliegie e kiwi. Alcuni coltivatori veronesi stanno provando una riconversione di alcuni prodotti ortofrutticoli storici del territorio scaligero ma che ormai sono al collasso per il crollo dei prezzi che ormai non consentono di coprire più nemmeno i costi di produzione, con altri più redditizi. Lo stesso con i cereali. È il caso di Giovanni Tegazzin, che coltivava proprio cereali su un appezzamento di una decina di ettari a Castagnaro (Verona), ma il guadagno era minimo, talvolta non arrivava nemmeno a ripagare le tasse, come racconta in un’intervista al Corriere del Veneto. “Così mi sono messo a cercare su Internet una possibile alternativa, una coltura che potesse essere redditizia ma non mi impegnasse troppo e non richiedesse un’attrezzatura troppo complessa”, racconta. Alla fine, ha trovato esattamente quel che cercava: il bambù. “Non ha bisogno di grande lavorazione, al di là dell’irrigazione che comunque viene fatta a goccia – spiega – e ha tantissimi usi, dai mobili ai filati, dall’oggettistica all’alimentazione ai drink”.

Il bambù è una delle possibili alternative che Confagricoltura ha suggerito in un convegno agli agricoltori veronesi che per ragioni economiche (scarsa redditività, soprattutto) o semplicemente per provare qualcosa di nuovo vogliono dare una svolta alla propria attività. “L’agricoltura cambia ad un ritmo molto più lento rispetto alla società in cui viviamo”, riflette Piero Spellini, di Villafranca, come riporta il Corriere del Veneto. La decina d’ettari di frutteto, coltivato a mele e pere, non rende più. “Ci sono varietà, come la Golden, che non è più sostenibile fare qui: troppa la concorrenza delle mele della Val di Non”, racconta. Ecco che, negli ultimi tempi, ha iniziato a espiantare i meli e sostituirli con piante di more. “Volevo qualcosa che mi garantisse un ritorno piuttosto rapido, io ho 79 anni, in questo campo ci sono colture che richiedono almeno sei o sette anni per dare i primi risultati”.

Colture come le noci e le nocciole: sono queste le varietà suggerite per chi vuole cercare di ricavare qualcosa di più dai propri frutteti, in particolare per chi coltiva pesche, nettarine, mele, pere, ciliegie, che ormai rendono pochissimo. Oppure kiwi: qui il problema non è tanto la redditività, ma le questioni fitosanitarie. “Avevo circa cinque ettari coltivati a kiwi – racconta David Cattani, imprenditore di Valeggio Sul Mincio sempre nel Veronese – ma sono morti tutti. E adesso sto valutando come rimpiazzarle”.

Le noci e le nocciole sono una possibilità interessante, ma perché non un allevamento di lumache? Non solo per la carne, ma anche per la bava, che viene utilizzata per i cosmetici: da dieci chili di chiocciole, si ricava circa un litro di bava, che viene venduto a prezzi che oscillano tra gli 85 e i 130 euro. Insomma, potenzialmente una miniera d’oro.

Le stime di Confagricoltura

Secondo le stime di Confagricoltura, in provincia di Verona su 170.000 ettari di superficie agricola, un decimo dei terreni ha bisogno urgente di una riconversione dopo che i prezzi di molti prodotti sono scesi a capofitto. A soffrire in particolare è l’Alta pianura, dal territorio villafranchese a Pescantina, che ha visto estirpare kiwi e pesche, a Zevio, Buttapietra e Belfiore, fino al Basso Veronese dove i dolori riguardano i seminativi. Ecco perché il bambù, la noce da frutto, il pioppo, l’allevamento di lumache, ma anche le bacche di goji, i semi di chia, il melograno, la canapa, la quinoa o, più in generale, il passaggio al biologico, possono rappresentare qualcosa di più di un diversivo. “Per le nostre aziende agricole è sempre più difficile fare utile con le colture tradizionali della nostra provincia, se non proprio impossibile – spiega Paolo Ferrarese, presidente di Confagricoltura Verona -. L’imprenditore ha tre scelte: mollare, fare meglio quello che ha sempre fatto, oppure cambiare strada, coltura o allevamento. Noi ci proponiamo di indagare quest’ultima opzione, che è la più rischiosa, la più difficile, ma a volte l’unica possibile”.

(fonte: Corriere del Veneto)

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