VALUTAZIONE D’IMPATTO DELLA FARM TO FORK, LA COMMISSIONE UE SI SBRIGHI MA ANCHE LA FILIERA FACCIA LA SUA PARTE

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Ho letto su “Il Corriere Ortofrutticolo” del 17 settembre l’intervento del presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, su “L’impatto della Farm to Fork (F2F), la Commissione dell’Unione Europea si esprima”.
Anche Giansanti chiede alla Commissione di intervenire per chiarire se è vero quello che gli studi dell’USDA (ministero dell’Agricoltura degli USA) e del CCR (il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea) avrebbero concluso circa gli effetti dell’applicazione di parte delle misure di contrasto alla emissione di gas serra previste dalle strategie Farm to Fork e Biodiversità. Questi due studi, a cui si è aggiunto uno più recente dell’Università di Kiel (Germania), avrebbero concluso che le due strategie di attuazione del Green Deal per l’agroalimentare provocherebbero una riduzione senza precedenti della capacità produttiva dell’agricoltura europea e del reddito degli agricoltori, un aumento dei prezzi al consumo e, nello stesso tempo, non avrebbero effetti significativi sulla riduzione di CO2 , perché la risposta produttiva dei Paesi sottosviluppati avverrebbe aumentando il consumo di combustibili fossili. Insomma, un disastro!
L’unica conclusione possibile è che l’agricoltura europea è finita in mano a degli irresponsabili che non sanno quali effetti potrebbero avere le politiche che intendono attuare per contrastare il cambiamento climatico? Finora, la Commissione non ha dato prova di essere composta da  irresponsabili e lo studio del CCR scrive fino allo sfinimento che “non è una valutazione di impatto”, in quanto ha analizzato i possibili effetti solo di un numero ridotto delle strategie di Farm to Fork e Biodiversità;  lo stesso si potrebbe dire dello studio dell’USDA e del più recente studio dell’Università di Kiel, perché nessuno di questi valuta le possibili conseguenze delle nuove tecnologie e innovazioni scientifiche sulle pratiche agricole e dei cambiamenti dei modelli alimentari.
In molte delle prese di posizione del mondo agricolo verso questi due documenti della Commissione sta scritto che gli agricoltori sono i primi ad essere sensibili ai problemi ambientali, ma allora si sono mai posti il problema di quali sarebbero le ricadute sul nostro pianeta e sull’agricoltura, se al 2030 venisse sfondato il limite dell’aumento della temperatura di + 1,5°, ritenuto già ottimistico nella Conferenza di Parigi del 2015, oltre al quale le ricadute sul clima sarebbero spaventose, come stanno dimostrando i disastri che già ora stiamo vivendo? Non c’è più tempo, come in questi giorni è stato affermato nell’Assemblea dell’ONU, dai ministri dell’Agricoltura del G20 riuniti a Firenze, come ha detto anche il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, al vertice dei capi di governo di Eu Med (Gruppo dei 9 Paesi mediterranei), elencando una lunga serie di disastri climatici: “Questa esperienza ci dice che non c’è più tempo, perché i costi per i nostri Paesi e i nostri cittadini sarebbero immensi”.
Capisco la richiesta preoccupata dei presidenti di Confagricoltura e  di COPA-COGECA alla Commissione  di presentare una valutazione di impatto che possa rispondere agli studi parziali che finora sono stati fatti. L’esperienza in Italia,  ma comune anche agli altri Paesi, delle conseguenze di una comunicazione sbagliata e parziale sulla pandemia, dovrebbe avere insegnato qualche cosa. Una informazione, soprattutto se viene da una voce autorevole, o almeno ritenuta tale, che porta notizie negative o incerte viene subito accettata da chi teme per sé ed è molto difficile poi modificare l’opinione che si è diffusa.
La Commissione è in ritardo per contestare quegli studi, ma deve farlo al più presto per evitare che le paure degli agricoltori europei continuino ad aumentare. E’ comprensibile poi, che il presidente di una grande organizzazione professionale si rivolga alla Commissione perché questa intervenga per assicurare il mondo agricolo che gli effetti negativi dovuti alla riduzione della intensificazione colturale e dell’impiego di mezzi tecnici di sintesi saranno affrontati con politiche di aiuto o da interventi sugli investimenti di modernizzazione necessari.
Purtroppo, quando si parla di sostenibilità l’attenzione viene subito rivolta all’ambiente, ma non si deve mai dimenticare che la sostenibilità, per essere raggiunta, deve essere ambientale, sociale ed economica. Ecco, quindi, che la Commissione deve dare una risposta a tutti coloro che temono che il traguardo dell’ambiente possa compromettere la parità sociale e il futuro delle imprese. I Piani Strategici Nazionali (PSN) di attuazione della nuova PAC saranno il primo banco di prova che questi tre obiettivi –  l’ambiente, la società e l’economia – sono i destinatari comuni delle misure che verranno adottate. Nei prossimi anni concorreranno anche i 69 miliardi che il PNRR ha destinato in sei missioni alla sostenibilità, di cui una interessa in modo particolare l’agricoltura: rivoluzione verde e transizione ecologica.
Al recente convegno promosso da Nomisma sul tema “Verso COP26. Il contributo della filiera agroalimentare agli obiettivi di neutralità climatica”, Valeria Zucconi, responsabile Osservatorio Sostenibilità di Nomisma, ha presentato dei dati che fanno riflettere. Secondo una indagine condotta dall’Istituto, l’87% degli italiani è convinto che la situazione ambientale del pianeta sia molto grave, il 41% dà oggi più importanza alle tematiche ambientali rispetto al 2019 e 7 su 10 italiani sono convinti di poter fare molto, come individui, per tutelare l’ambiente. Da questi dati pare che la cultura e la sensibilità ambientale degli italiani sia elevata, tanto che il 58%  degli italiani farebbe scelte sostenibili quando acquista prodotti alimentari. Tuttavia, i driver di scelta dei prodotti alimentari vedrebbero al primo posto (41%) la convenienza, al secondo (40%) l’italianità, al terzo (32% ) la sostenibilità ambientale infine, a confermare l’ordine dei driver di scelta,  meno della metà (46%) degli italiani sarebbe disponibile a pagare almeno il 2% in più per prodotti sostenibili.
Certamente la Commissione deve fare molto per convincere il mondo agricolo della bontà delle strategie proposte da Farm to Fork e Biodiversità, ma anche la filiera agroalimentare deve fare molto per convincere i consumatori che una buona spesa può cambiare il mondo, come dice lo spot di COOP.
Corrado Giacomini
economista agrario

 

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