UVA E PRIVATIVE, SERVE FARE FILIERA E NON MANDARE ALL’ARIA IL SISTEMA CLUB 

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Un elefante in una cristalleria. Così mi sono sentito io nel parlare della sentenza che, di fatto, ha innescato reazioni a catena nel mondo produttivo dell’uva da tavola, mondo che, in maniera troppo semplicistica, ha creduto che con il pronunciamento dei giudici si fosse messo in discussione il rapporto contrattuale tra breeders e imprenditori agricoli.  Bene, adesso che in molti, anche della politica, tornano a parlarne, è bene chiarire: cosa ne è venuto fuori da questa sentenza?

Iniziamo da ciò che ha asserito lo stesso avvocato Costantino, il quale sottolineava come questa non si è pronunciata sulla legittimità del vincolo contrattuale (oggetto della controversia), bensì ( uso il virgolettato dell’avvocato difensore) “Oggetto del giudizio in Cassazione è stato lo scrutinio della legittimità della sentenza della Corte d’Appello di Milano che aveva rigettato l’impugnazione del lodo arbitrale. Infatti, la Corte d’appello di Milano non si è pronunciata nel merito del vizio contrattuale lamentato ma si è arrestata prima e, con una decisione in rito, ha dichiarato l’inammissibilità del motivo”.  Ciò non toglie la portata della sentenza che ha, di fatto, innescato una esigenza: una riflessione più approfondita sulle ragioni delle due parti coinvolte: il breeder che ha investito capitali nel tutelare, anche commercialmente, la varietà oggetto di privativa (e come lo si può fare se non normando la dinamica commerciale?); dall’altra le ragioni di chi produce rischiando capitali propri e che ha il diritto ad una giusta remunerazione in rapporto al rischio di impresa. E’ questo il nocciolo della questione: come si può tutelare in modo equilibrato ed armonico i diritti sui rischi d’impresa delle due controparti?

Su questo i giudici non si sono espressi, limitandosi a ‘paventare’ potenziali problemi di ordine pubblico nel momento in cui, sull’anello produttivo, il giogo fosse troppo stretto. Ed è una visione, per l’amor di Dio, condivisibile. Tuttavia invito entrambe le parti a mettersi nei panni l’una dell’altra.

I breeders, all’indomani della sentenza, si sono, invece, affrettati ad inviare mail dai toni non troppo amichevoli nelle quali si ribadiva la piena efficacia degli accordi. Dall’altra parte ho partecipato a riunioni giacobine che somigliavano più alla presa della Bastiglia che finalizzate ad addivenire ad una risoluzione definitiva della controversia. Bene ha fatto, sulle nostre pagine, il presidente CUT, Massimiliano Del Core quando ribadiva: “A nostro modo di vedere la sentenza conclama in realtà quanto da noi sostenuto da tempo. In un convegno sul tema, che organizzammo nel 2022, emerse chiaramente, anche grazie al parere competente dell’avv. Acquafredda (Trevisan&Cuonzo), che il frutto pendente prodotto da materiale vegetale oggetto di privativa, legalmente piantato e propagato, non è soggetto ad alcun vincolo nella vendita e distribuzione, e dunque il produttore legalmente licenziato dal breeder a piantare e produrre una cultivar sotto licenza può vendere il prodotto liberamente. Va precisato però che ciò può avvenire purchè in fase di vendita e collocamento sul mercato non sia utilizzato il marchio commerciale collegato alla varietà, in quanto protetto da un ulteriore brevetto, e quindi concesso in licenza di uso legittimamente solo ad alcuni operatori. Il disposto scaturisce dal fatto che il diritto alla tutela della privativa vegetale segue solo il materiale di propagazione e si esaurisce al momento in cui la pianta viene concessa in licenza in produzione, non estendendosi anche al frutto che da quella pianta deriva”. Chiaro, semplice e conciso.

Ai tanti giacobini che non vedono l’ora di inserire il Made in Italy come prezzemolo che va su qualsiasi minestra, dico: “Ognuno faccia il suo mestiere”. Perchè ad aizzare le folle ci vuole poco e, soprattutto di questi periodi in cui fare impresa agricola è un azzardo visti i rischi imposti dal mercato e dai cambiamenti climatici, agire sulla disperazione dei molti non aiuta nessuno, neanche i pochi che riescono a speculare in ogni situazione. Infine colgo l’occasione per ricordare a tutti che solo grazie a queste nuove varietà la nostra Puglia (ed anche la Sicilia)  sono ancora interessanti nel panorama mondiale dell’uva da tavola. Pertanto invito tutte le parti a fare finalmente “filiera vera” per creare valore su un frutto che nel mondo è il terzo più consumato dopo banane e mele, ed il modo migliore per farlo,  – come sostenuto anche dalla CUT – è il sistema club al momento. Perchè altrimenti si fa la fine di Lucignolo nel paese dei balocchi: ad andar dietro a chi millanta mondi irreali, ci si sveglia asini.

Donato Fanelli

*imprenditore agricolo

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