Musica per le orecchie delle imprese italiane a Berlino alcune dei provvedimenti approvati nel collegato alla legge di Stabilità. Andando in sintesi e riservandoci un esame più approfondito in altra sede sottolineiamo il credito di imposta per le aziende italiane che investano in infrastrutture logistiche e distributive all’estero per i nostri prodotti.
L’obiettivo è colmare uno dei principali gap che frena le esportazioni del Made in Italy, ovvero l’assenza di forti piattaforme distributive italiane fuori dai confini nazionali. L’idea merita un bel 8 per il premier Letta, ministro ad interim al posto della De Girolamo. Un 8 però con riserva visto che non si conoscono i dettagli economici del provvedimento. Ci saranno soldi veri su questa posta o il solito ? Semplificazione e riorganizzazione sono le altre parole d’ordine del ‘collegato’. Sul primo fronte le solite promesse: più coordinamento tra gli organi di vigilanza, divieto della duplicazione degli accertamenti e interscambio di dati informatici tra gli organi stessi. Tutte cose che in un paese normale e non “tiranneggiato” dalla burocrazia dovrebbero essere acquisite da tempo. Si promettono tempi più rapidi per aprire una attività agricola (silenzio assenso tagliato di due terzi, da 180 a 60 giorni) “con una piccola rivoluzione per le start-up agricole”. Mah, che dire, vedremo all’applicazione pratica.
Sul fronte riorganizzazione si annunciano chiusure, e già questa è una buona notizia. L’Inea dovrebbe passare dal commissariamento alla soppressione con assorbimento delle funzioni (quindi del personale) nel CRA, Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura, a sua volta riorganizzato. Poi ennesima riorganizzazione dell’Agea , vero porto delle nebbie, che si dibatte ormai da anni tra commissari, inchieste e denunce, senza che si venga a capo di niente. Potenziata l’Ismea che assorbirà Isa Spa a sua volta soppressa.
Le vicende di questi enti del sottobosco ministeriale sono la dimostrazione lampante della incapacità di autoriforma della nostra burocrazia ministeriale: si creano enti dalla dubbia utilità, con personale e dotazione finanziaria, poi li si tiene in vita con accanimento terapeutico oltre ogni limite e alla fine li si chiude “per manifesta inutilità”, come era nelle premesse. Infine la notizia più ghiotta per i media e che viene enfatizzata su tutti i comunicati ufficiali.
“L’avvio di un percorso molto ambizioso legato alla creazione di un tavolo al Mipaaf con tutte le organizzazioni per l’identificazione di un brand per il made in Italy italiano per portare a sistema uno dei patrimoni dell’economia italiana”. Cioè un altro marchio per il made in Italy dopo tutti quelli messi in campo da Consorzi, Comuni, Province, Regioni, Camere di commercio, Pro loco, e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente il marchio sarà “privato, facoltativo e in linea con la normativa europea e potrà dare un decisivo contributo alla lotta alla contraffazione e all’Italian sounding”.
Di una simile proposta ne avevamo sentito parlare da Oscar Farinetti, il patron di Eataly, che non a caso circola come nome a sorpresa per il ministero. Beh, sarebbe da mettere alla prova il vulcanico imprenditore piemontese con un tavolo di concertazione all’italiana, con 50 interlocutori e la burocrazia a mettere i bastoni tra le ruote. Di un ennesimo marchio c’è bisogno? Forse si, a patto che se ne sopprimano altri 100 di manifesta inutilità e che fanno solo confusione. Che dire, auguri…
Lorenzo Frassoldati
Direttore del Corriere Ortofrutticolo
UN ALTRO MARCHIO PER IL MADE IN ITALY? AUGURI… IL COLLEGATO AGRICOLO TRA PROMESSE E ILLUSIONI
Musica per le orecchie delle imprese italiane a Berlino alcune dei provvedimenti approvati nel collegato alla legge di Stabilità. Andando in sintesi e riservandoci un esame più approfondito in altra sede sottolineiamo il credito di imposta per le aziende italiane che investano in infrastrutture logistiche e distributive all’estero per i nostri prodotti.
L’obiettivo è colmare uno dei principali gap che frena le esportazioni del Made in Italy, ovvero l’assenza di forti piattaforme distributive italiane fuori dai confini nazionali. L’idea merita un bel 8 per il premier Letta, ministro ad interim al posto della De Girolamo. Un 8 però con riserva visto che non si conoscono i dettagli economici del provvedimento. Ci saranno soldi veri su questa posta o il solito ? Semplificazione e riorganizzazione sono le altre parole d’ordine del ‘collegato’. Sul primo fronte le solite promesse: più coordinamento tra gli organi di vigilanza, divieto della duplicazione degli accertamenti e interscambio di dati informatici tra gli organi stessi. Tutte cose che in un paese normale e non “tiranneggiato” dalla burocrazia dovrebbero essere acquisite da tempo. Si promettono tempi più rapidi per aprire una attività agricola (silenzio assenso tagliato di due terzi, da 180 a 60 giorni) “con una piccola rivoluzione per le start-up agricole”. Mah, che dire, vedremo all’applicazione pratica.
Sul fronte riorganizzazione si annunciano chiusure, e già questa è una buona notizia. L’Inea dovrebbe passare dal commissariamento alla soppressione con assorbimento delle funzioni (quindi del personale) nel CRA, Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura, a sua volta riorganizzato. Poi ennesima riorganizzazione dell’Agea , vero porto delle nebbie, che si dibatte ormai da anni tra commissari, inchieste e denunce, senza che si venga a capo di niente. Potenziata l’Ismea che assorbirà Isa Spa a sua volta soppressa.
Le vicende di questi enti del sottobosco ministeriale sono la dimostrazione lampante della incapacità di autoriforma della nostra burocrazia ministeriale: si creano enti dalla dubbia utilità, con personale e dotazione finanziaria, poi li si tiene in vita con accanimento terapeutico oltre ogni limite e alla fine li si chiude “per manifesta inutilità”, come era nelle premesse. Infine la notizia più ghiotta per i media e che viene enfatizzata su tutti i comunicati ufficiali.
“L’avvio di un percorso molto ambizioso legato alla creazione di un tavolo al Mipaaf con tutte le organizzazioni per l’identificazione di un brand per il made in Italy italiano per portare a sistema uno dei patrimoni dell’economia italiana”. Cioè un altro marchio per il made in Italy dopo tutti quelli messi in campo da Consorzi, Comuni, Province, Regioni, Camere di commercio, Pro loco, e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente il marchio sarà “privato, facoltativo e in linea con la normativa europea e potrà dare un decisivo contributo alla lotta alla contraffazione e all’Italian sounding”.
Di una simile proposta ne avevamo sentito parlare da Oscar Farinetti, il patron di Eataly, che non a caso circola come nome a sorpresa per il ministero. Beh, sarebbe da mettere alla prova il vulcanico imprenditore piemontese con un tavolo di concertazione all’italiana, con 50 interlocutori e la burocrazia a mettere i bastoni tra le ruote. Di un ennesimo marchio c’è bisogno? Forse si, a patto che se ne sopprimano altri 100 di manifesta inutilità e che fanno solo confusione. Che dire, auguri…
Lorenzo Frassoldati
Direttore del Corriere Ortofrutticolo
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