C’era una volta la castagna regina d’autunno. Quest’anno invece la siccità e il cinipide galligeno mettono in ginocchio la castanicoltura toscana. Produzione crollata in tutta la regione dove si registrano perdite con punte che toccano fino al 90% dello storico. Dove è andata meglio la produzione si è dimezzata rispetto all’anno precedente.
Ma non basterà per contenere l’importazione dall’estero di castagne (Cina, Corea del Sud e Turchia in testa) e raffreddare i prezzi al dettaglio. In forte difficoltà anche la ristorazione e la cucina tipica che dovranno presto fare i conti con la scarsità di prodotto fresco e della farina, ingredienti essenziali per le ricette d’autunno. Una situazioni dagli addetti ai lavori definita “eccezionale”: non si trova, nella memoria contadina, un’annata così “disastrosa”.
Dal Mugello dove si coltiva il pregiato Marrone Igp al Caprese Michelangelo Dop, passando dalla Lunigiana, terra della farina Dop e dalla Garfagnana con il Neccio Dop, fino alla castagna Igp del Monte Amiata, il crollo della produzione è stato verticale e diffuso. E pensare che il settore, negli ultimi anni, aveva conoscendo una nuova età dell’oro grazie alle risorse messe a disposizione dal Piano di Sviluppo Rurale che hanno contribuito a riaccendere l’interesse economico delle imprese agricole e riavvicinare nuove forze alla castanicoltura.
A fornire un primo quadro è Coldiretti (info su www.toscana.coldiretti.it) che sta monitorando la delicata fase di raccolta in tutta la Toscana dove si producono, su circa 16 mila ettari di castagneti da frutto (dati della Regione Toscana) circa 24 mila tonnellate fra marroni e castagne destinate al consumo fresco e alla produzione di farina. Un settore, la castanicoltura, che ha da sempre caratterizzato l’economia agricola della regione ed ha costituito un fondamentale elemento per la sopravvivenza delle famiglie.
Molti dei prodotti tradizionali regionali censiti ancora oggi derivano da castagne, marroni e farine e rappresentano alcune delle eccellenze gastronomico della toscana come il castagnaccio, la marocca di Casola, le lasagne bastardate della Lunigiana e la pattona di Comano.
Tulio Marcelli (nella foto), Presidente Coldiretti Toscana la definisce una situazione “critica che va ad aggiungersi agli effetti conclamati della siccità già denunciati in più circostanze, e che ci hanno portato a chiedere – commenta – lo stato di calamità naturale. Non ultimo il comparto degli alberi di Natale, nel casentino, dove la siccità ha seccato 1 milione di esemplari destinati al mercato. La castanicoltura – sottolinea – rappresenta da sempre una forma di integrazione al reddito agricolo che per decenni è stata di vitale importanza. Le imprese non ne possono fare a meno”.
In Toscana, come in gran parte del paese, si sono verificate contemporaneamente una serie di condizioni sfavorevoli che hanno azzerato la produzione rese ancora più grave dalla presenza del cinipide. Una primavera insolitamente piovosa ha reso difficile la allegagione nel momento della fioritura mentre l’estate più calda degli ultimi anni ha disidratato i ricci nella fase cruciale non favorendo la maturazione delle castagne all’interno. Il risultato è stato la caduta massiccia dei ricci e la mancanza di prodotto.
Secondo Ivo Poli, Presidente dell’Associazione Nazionale Città del Castagno e membro dell’Associazione Castanicoltura della Garfagnana, è stata la peggiore di sempre. “Se questa situazione si fosse verificata 50 anni fa – spiega – la gente sarebbe morta di fame. Ci troviamo ad affrontare uno scenario del tutto nuovo”.
Poli ha girato tutta la Toscana delle castagne a partire dalla “sua” Garfagnana dove si stima una produzione di farina di neccio Dop, quest’anno, di 7-8mila quintali contro i 25mila quintali delle annate migliori. La siccità e l’insetto – spiega riferendosi al cinipide – hanno frenato il ritorno nei boschi. La lotta biologica sta producendo i primi positivi effetti ma bisognerà attendere ancora qualche anno per avere risultati evidenti”. L’unica area dove siccità e galligeno sembra aver colpito meno duro sembra essere la zona dell’Amiata: “Si trova in un versante che ha sentito meno gli effetti della siccità – analizza – siamo nell’ordine del 50% in meno di produzione”.
Molto grave lo scenario anche nel Mugello dove la mancata produzione oscilla tra il 50% e l’80% di prodotto in meno. Lo scenario è inquietante. “La nostra ultima annata migliore è stata quella del 2010 – sottolinea Emanuele Piani, Presidente del Consorzio di Tutela del Marrone Igp del Mugello – nel 2011 la colpa era del cinipide, quest’anno della siccità. Siamo passati da 1,200 quintali di Marrone Igp del 2010 a probabilmente 250, speriamo 300 quintali di questo anno. Anche la resa per ettaro è scesa”.
Il Marrone Ipg del Mugello è reduce da una fase molo positiva conseguenza anche della valorizzazione del marchio e della qualità del prodotto. “C’è interesse, c’è spazio, ci sono risorse per chi vuole impegnarsi in questo settore. La prospettiva per il marrone del Mugello è puntare sulla qualità per differenziarlo dalla masse di prodotti che arrivano ormai da tutto il mondo – commenta – è lì che ci giochiamo il futuro”.
In Lunigiana la situazione non è migliore. La farina Dop lunigianese è l’ultima, in ordine cronologico, ad aver ottenuto la denominazione. “La produzione era in crescita negli ultimi anni ad eccezione dello scorso che era già stata pessima – spiega Igino Avanzini, Presidente del Comitato Promotore per la farina di castagne della Lunigiana Dop – ma siccità e cinipide hanno quasi azzerato la produzione. La perdita di prodotto – conclude – si attesta ad un primo sondaggio intorno al 90%”.