SULLE CILIEGIE PUGLIESI PIOVE SUL BAGNATO. IL MALTEMPO METTE IN GINOCCHIO IL COMPARTO

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Batosta climatica per le ciliegie pugliesi che manda in fumo il 70% della produzione con perdite di fatturato per le aziende agricole fino al 50%.

Quest’anno non c’è praticamente mercato per la tradizionale varietà pugliese ‘Ferrovia’, le cui coltivazioni sono state letteralmente tartassate da clima avverso che ha aggiunto il carico da 90 alle difficoltà gestionali derivate dai protocolli sanitari anti-Covid-19.

Per quanto riguarda il clima, sulle coltivazioni cerasicole si sono abbattute, prima, le due gelate di marzo, poi il vento forte e le piogge di fine aprile-inizi di maggio, per finire con il colpo di grazia, la bomba d’acqua dello scorso weekend che di fatto ha decimato la produzione, colpita da diffusi fenomeni di cracking, in un periodo strategico per il mercato poiché, da giugno, iniziano ad arrivare sugli scaffali le produzioni turche e greche di importazione.

“Oltre ai minori volumi, abbiamo scarti di lavorazione che arrivano al 30% – afferma Vincenzo Pernice, amministratore dell’azienda La Pernice di Turi nel comprensorio BAT –. La prima categoria, ossia il calibro 30, è quella che ne risente di più. Se in tempi normali rappresentava il 10% della produzione oggi siamo intorno al 3-4%. Per il calibro 28, se prima facevamo il 20% ora siamo al 14-15%. Ma la botta pesante è sul resto della produzione. Consideri che lavorare con 6000-7000 quintali e fare il 20% di scarto è un bel problema. Devi inventarti qualcosa, cercare di vendere all’industria e poi c’è anche lo smaltimento. Senza considerare l’aumento dei costi. Se lavori con prodotto ‘pulito’ (ossia pochi scarti), bastano 40 dipendenti. Con il prodotto ‘sporco’ ce ne vogliono 60 perché la selezionatrice copre l’80% ma il 20% va selezionato visivamente. La rilavorazione ai banchi, poi, è rallentata per il cracking. Sono tutti costi che fanno lievitare il prezzo ma la Gdo è ferma coi prezzi. Era, forse meglio, pagare 1,50 euro in più al chilo per avere prodotto più sano?”.

L’incertezza climatica registrata negli ultimi anni ha portato il comparto cerasicolo a faticare ad avere una programmazione con la Gdo. Le vendite si decidono settimanalmente e questo, naturalmente, incide molto sulla concorrenza di mercato, con i produttori esteri che hanno costi più bassi e che inevitabilmente si pongono con prezzi più competitivi.

La partita per gli italiani si gioca nelle prime settimane di campagna, da fine maggio, quando ancora non c’è prodotto straniero sugli scaffali. Peccato, però, che quest’anno quella partita non c’è proprio stata.

“Quest’anno il prezzo dei calibro 28 è sui tre euro – precisa Nicola Coniglio dell’omonima azienda agricola che, in annate normali, produce circa 18mila quintali di ciliegie Ferrovia -. Il problema però è che non abbiamo prodotto quindi prevediamo una perdita netta di fatturato del 50% rispetto all’anno scorso”.

Alcune aziende stanno cercando di testare varietà tardive che permettano di allungare la stagionalità fino a luglio e avere una nuova finestra di mercato più estesa in cui non ci sono competitor.

“In tutta la regione – spiega Giacomo Suglia, vicepresidente di Fruitimprese e presidente di APEO, l’Associazione dei produttori ed esportatori ortofrutticoli – ci sono circa 20 ettari impegnati ai test su nuove varietà più resistenti al cima tra le varie aziende agricole del territorio. Ci sono anche aziende che hanno già investito, soprattutto nelle zone interne come Gioia del Colle e Santeramo. È importante che sugli scaffali arrivino le varietà italiane per una questione non solo di gusto ma anche di freschezza perché siamo in grado di portare il prodotto sugli scaffali dopo 48 ore dalla raccolta mentre le ciliegie che arrivano dall’estero hanno almeno una settimana di viaggio alle spalle”.

Una crisi così importante delle ciliegie si riverbera, infine, su tutto l’indotto, perché, secondo Suglia: “il 70% in meno dei volumi, vuol dire 70% in meno di manodopera, di attività confezionamento, di trasporto. Si crea, insomma, un circolo vizioso”.

Mariangela Latella

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