STOP ALLE IPOCRISIE SUL CAPORALATO, LE LEGGI VANNO AGGIORNATE

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La straziante vicenda di Satnam Singh, il bracciante indiano abbandonato con il braccio amputato mentre lavorava nelle campagne dell’Agro Pontino, ha riacceso i riflettori sul fenomeno del caporalato nelle campagne e più in generale sul lavoro nero in Italia (non solo in agricoltura).

Sono tre milioni i lavoratori invisibili senza diritti ed “è ora di dire basta”, dice la Cgil, ed ha ragione. Non si può aspettare l’ennesima morte per aprire gli occhi sul fenomeno e non si può aspettare l’ennesima morte per far scatenare il giorno dopo il blitz (a favore di telecamere) degli ispettori dell’Inps. Il bello è che questa volta il blitz ha fotografato una realtà a tutti nota: “Sulle 310 aziende agricole che sono state ispezionate – ha detto la ministra Calderone all’Ansa – sono state rilevate irregolarità per il 66%”, che vanno da inadempienze sul fronte della sicurezza sul lavoro a mancati adempimenti amministrativi, fino allo sfruttamento nei casi più gravi”. Situazione quindi di emergenza, e viene da chiedersi perché questi blitz non scattino più spesso, tanto più che l’illegalità nei campi è alla luce del sole, documentata da immagini, inchieste televisive, interviste… possibile che chi deve intervenire non intervenga? Già, possibile?

Allora cerchiamo di parlare del problema senza ipocrisie. Intanto alcuni punti fermi. Chi opera contro le leggi, opera contro le imprese che rispettano le leggi. Quindi l’illegalità alimenta una concorrenza sleale sul mercato. Poi è evidente che i provvedimenti adottati in questi anni hanno clamorosamente fallito, dalla Legge sul caporalato alla Rete del lavoro agricolo di qualità, quest’ultima davvero un’incompiuta (nata nel 2014 e modificata nel 2016). Una legge che non funziona, che fallisce l’obiettivo per cui è nata, andrebbe rivisitata, aggiornata, attualizzata… ma nulla è stato fatto. La Rete del lavoro di qualità poi è finita in una barzelletta: se il datore di lavoro prendeva una multa per eccesso di velocità non poteva iscriversi… la stupidità della burocrazia italiana è da Guiness dei primati. Infine non c’è dubbio che a favorire il lavoro nero è la legge Bossi-Fini, che alimenta solo un esercito di sbandati ‘sans papiers’ che finiscono nelle mani dei ‘caporali’ e che tutti fanno finta di non vedere. Questa legge va cancellata e rifatta incrociandola con le necessità reali delle imprese che chiedono manodopera in tutti i settori, dalla agricoltura alla ristorazione al turismo. Non è possibile (visto coi miei occhi) che in Calabria i bagnini sulle spiagge, i camerieri nei ristoranti, le donne delle pulizie negli hotel siano tutti extracomunitari di colore. Se i giovani calabresi (qui la Calabria è solo un esempio) non vogliono fare quei mestieri, se ne prende atto e si fa in modo di reclutare manodopera straniera stando alle regole e con un contratto specifico, che magari ne agevoli l’assunzione. L’orrore e l’indignazione per la morte del bracciante indiano hanno smosso le acque. Il DL Agricoltura licenziato dal Senato (da approvare alla Camera) affronta la questione con un piglio finalmente energico. Sempre la ministra Calderone ha annunciato un incontro coi sindacati per presentare la bozza del decreto attuativo della patente a punti per le imprese, un provvedimento che entrerà in vigore ad ottobre e che potrebbe essere esteso dall’edilizia ad altri settori. Intanto arriva questo DL Agricoltura che prevede: assunzioni straordinarie presso INPS (fino a 403 unità) e INAIL (fino a 111 unità) ; Sistema informativo per la lotta al caporalato presso il ministero del Lavoro “per la condivisione delle informazioni tra le amministrazioni statali e le regioni”; Banca dati sugli appalti in agricoltura presso l’INPS; controlli più stringenti sui requisiti di qualificazione dell’appaltatore in caso di impresa agricola.
Sulla carta tutto bene, nella realtà bisognerà vedere quando andranno a regime questi nuovi strumenti e come funzioneranno. Siamo specialisti nel sovrapporre leggi su leggi in un delirio burocratico senza fine e quanto a coordinamento tra le varie amministrazioni statali e regionali, serve un atto di fede per crederci! Bisognerà poi mettere mano al decreto flussi perché con i click-day non si risolvono i problemi: non è possibile che se servono 100.000 unità ne arrivano 15.000! Infine i prezzi dei prodotti. Non sono quasi mai d’accordo con Oscar Farinetti, però sul tema caporalato una costa giusta l’ha detta: l’intera impalcatura dello sfruttamento della manodopera si regge sui prezzi dei prodotti in vendita nei supermercati. “Se noi continuiamo a comprare dei barattoli di pomodori pelati da 400 grammi a 70 o 80 centesimi, è chiaro che per farli si debba ricorrere al caporalato. Altrimenti non si può: è un cane che si morde la coda”, ha affermato il fondatore di Eataly, aggiungendo come “pagando i lavoratori nove euro all’ora, e tenendo in considerazione tutti gli altri costi di produzione, uno stesso barattolo di pelati non possa essere messo in commercio a meno di 1 euro e 20 centesimi”. “È strano questo paese – conclude Farinetti – da un lato protestiamo sempre perché il cibo costa caro e, dall’altro, diciamo che i lavoratori in campagna devono essere pagati meglio”. Parole sante. E qui ad essere chiamata in causa è la politica dei prezzi della GDO, il vero convitato di pietra in questa vicenda. Dato che non tutte le insegne sono uguali, non tutte le insegne sono trasparenti, non tutte le insegne applicano gli stessi codici etici, ci attendiamo che dalle insegne più responsabili vengano segnali chiari: stop alle offerte stracciate, stop ai sottocosto. Anche la qualità ‘sociale’, etica di un prodotto ha un costo. Quindi “cari consumatori, se volete il lavoro regolare, aprite di più il portafoglio”.

Lorenzo Frassoldati

direttore Corriere Ortofrutticolo
l.frassoldati@alice.it

L’editoriale del direttore Lorenzo Frassoldati è pubblicato nell’ultimo numero del Corriere Ortofrutticolo

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