La diffusione del Coronavirus sta creando un grave problema nelle campagne: la mancanza di manodopera.
“Con il blocco della circolazione, le quarantene e le persone con problemi di salute e quelle che se ne sono andate non è facile reperire forza lavoro – sottolinea il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti -. E siamo in un momento cruciale: si avvicina in maniera preoccupante la stagione della raccolta degli ortaggi e della frutta estiva. Servono almeno 250 mila persone. Per questo abbiamo scritto ai ministri delle Politiche agricole Teresa Bellanova e del Lavoro Nunzia Catalfo per sollecitare strumenti governativi che facilitino il ricorso a manodopera italiana, come i voucher, o che diano la possibilità di impiegare persone che hanno perso il lavoro, cassintegrati o fruitori del reddito di cittadinanza. Sempre nel rispetto delle condizioni sanitarie ottimali.”
Confagricoltura evidenzia che sono 1.114.982 i dipendenti impiegati in agricoltura nel nostro Paese. La quota più numerosa (97%) è costituita dagli operai, a cui si affiancano impiegati, quadri e dirigenti (3%). Le aziende agricole che assumono dipendenti sono 187.629 ed incidono per il 26% sul totale di quelle iscritte alle camere di commercio.
In Italia sono presenti 1.076.930 operai agricoli, dei quali il 10% a tempo indeterminato e il 90% a tempo determinato. La manodopera agricola è prevalentemente impiegata nel Sud del Paese (55% del totale), che detiene anche la quota più rilevante di quella a tempo determinato (57%). Viceversa nel Nord si concentra la maggiore incidenza degli operai a tempo indeterminato (55%). Il bracciante agricolo è la prima tipologia di contratto attivato, sia per quanto riguarda i lavoratori a tempo determinato (87,4%), sia quelli a tempo indeterminato (43,1%), a cui seguono in ordine di numero gli operai specializzati in colture miste e legnose.
Per quanto riguarda i comparti in cui gli operai vengono impiegati, al primo posto troviamo le produzioni vegetali (82%), seguite dalle attività accessorie (10%) e dalla zootecnia (8%), in cui la manodopera è impiegata più stabilmente. Nelle produzioni vegetali i comparti più importanti sono l’ortoflorovivaismo (25%), il vitivinicolo (20%) e la frutta (18%).
C’è poi la questione dei lavoratori stranieri. Confagricoltura ha accolto con soddisfazione la circolare del ministero dell’Interno che ha prorogato fino al 15 giugno tutti i permessi di soggiorno in scadenza tra il 31 gennaio il 15 aprile. Ed ha apprezzato gli orientamenti della Commissione europea per il transito/circolazione dei lavoratori, tra cui gli stagionali, in particolare quelli del settore agricolo, chiedendo agli Stati di facilitare lo scambio di informazioni sui bisogni e permettendo a questi lavoratori di attraversare i confini.
“Molti operatori stagionali – spiega Giansanti – hanno fatto rientro nei loro Paesi d’origine a causa del virus ed altri che sono disponibili a venire – anche perché in possesso di contratti già firmati con le aziende – non riescono ad arrivare perché trovano difficoltà ad attraversare determinati Paesi. Da qui la nostra richiesta all’Unione europea di creare una sorta di “corridoi” per permettere la mobilità all’interno della UE di questi lavoratori. Anche perché il problema non riguarda solo l’Italia, ma tutti i Paesi agricoli europei. Si stima che in tutto servano almeno 700 mila persone. Infine, bisogna avviare in tempi rapidi l’iter per la definizione di un nuovo decreto flussi che consenta al settore agricolo di impiegare lavoratori non comunitari.
Confagricoltura ricorda che i lavoratori dipendenti stranieri regolari (iscritti all’INPS) in agricoltura è pari a 391.500 e la loro incidenza sul totale operai attivi in Italia ha raggiunto il 36%. L’agricoltura detiene, infatti, una quota rilevante di manodopera straniera rispetto agli altri settori economici privati (il 9% del totale lavoratori extra-comunitari presenti in Italia e il 17% di quelli comunitari). Negli ultimi dieci anni la crescita dei lavoratori stranieri è stata rilevante. Questo incremento è andato prevalentemente a vantaggio della componente non comunitaria (+83%) rispetto a quella comunitaria (+2). Conseguentemente, i lavoratori non comunitari sono oggi in prevalenza (61% sul totale stranieri) rispetto ai comunitari. Fra questi ultimi la stragrande maggioranza è costituita da rumeni, mentre è meno significativo il contributo di polacchi, bulgari e slovacchi. Nella componente non comunitaria, che si sta rafforzando, prevale la provenienza africana, in particolare dai Paesi del Nord (Marocco e Tunisia) e dell’Ovest del continente (Senegal, Nigeria e Mali), cui si affiancano quote rilevanti di lavoratori dell’Est Europa non comunitari (Albanesi, Macedoni e Ucraini) e asiatici (India e Pakistan).