SISTEMA DOP-IGP, GIGANTE DAI PIEDI D’ARGILLA (SPECIE IN ORTOFRUTTA)

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L’Italia, come sanno quasi solo gli addetti ai lavori, è leader nel mondo sia per numero di prodotti tutelati, ben 274 dop e igp e 523 vini docg doc e igt, “sia per capacità di contrasto alla contraffazione”. Il ministro Maurizio Martina parla del sistema italiano delle indicazioni geografiche come di un modello sostenibile che dà “risposte concrete alla sfida alimentare”.

Quanto alla contraffazione il ministro ricorda “le quasi 600 operazioni internazionali di protezione del Made in Italy agroalimentare in Europa e nel mondo, grazie al nostro modello, unico al mondo, di intervento anche sul web”. La lotta alla contraffazione va di pari passo con la promozione e qui Martina ricorda la partnership con Google “con lo spazio dedicato ai prodotti Dop e Igp italiani” e il piano di promozione “per l’agroalimentare di qualità Made in Italy che non ha precedenti, con una forte strategia di attacco all’Italian sounding”.

Tutto bene. Non sappiamo se sia il clima di euforia che circonda l’Expo che crea cortine di fumo dentro cui evaporano i veri problemi. Il sistema italiano delle Dop e Igp – che nessuno vuole metter in discussione come strumento prezioso per valorizzare le produzioni agricole e agroalimentari di qualità di un territorio – però è afflitto da problemi che si chiamano elefantiasi burocratica, scarsa efficienza commerciale, sottoutilizzo dei marchi, malfunzionamento dei Consorzi di tutela. Mali che nel caso dell’ortofrutta sono alla luce del sole: il prodotto certificato Igp rispetto a quello standard è inferiore all’1% nel caso delle pesche e nettarine di Romagna, così per la pera Igp dell’Emilia-Romagna, mentre sale al 6,5% – una delle percentuali più elevate – per la patata di Bologna Dop. E così per tanti altri prodotti. In sostanza siamo di fronte a potenzialità largamente inespresse con marchi che rappresentano minime percentuali di prodotto e che lasciano il tempo che trovano sul mercato. E che non sono in grado di influenzare il corso dei prezzi perché privi di una vera organizzazione commerciale e di marketing dietro.

Ovviamente ci sono eccezioni, come nel caso dei Consorzi dei radicchi veneti, grazie alla capacità e allo spirito di squadra di un gruppo dirigente all’altezza, ma il quadro medio è alquanto desolante. E, si badi, se usciamo dal settore ortofrutta e osserviamo i ‘campioni’ del paniere Dop-Igp, ci accorgiamo che la gestione dei marchi affidata ai Consorzi quasi sempre non ha incrementato il valore dei marchi stessi ma li ha banalizzati e impoveriti, con le conseguenze del caso: scarsa remunerazione del prodotto all’origine, dipendenza totale dai diktat e dalle politiche giugulatorie della Gdo, scarsa penetrazione commerciale sui mercati esteri.

Perché dico queste cose? Non per essere il solito bastian contrario, ma perché il ministro dovrebbe sapere che non è tutto oro quello che luccica e che da tempo sono sul tavolo proposte per rivedere le regole del nostro sistema dei marchi di origine e qualità proprio per renderlo più rispondente alle esigenze del mondo produttivo. L’attuale sistema, in particolare per l’ortofrutta, è una scatola semivuota, un gigante dai piedi d’argilla. Nicchie produttive di alta qualità che in molti casi faticano a stare sul mercato, costi burocratici della filiera inaccessibili ai più, nessuna massa critica, scarse se non inesistenti politiche di marketing, gestione dei Consorzi senza riscontri in termini di obiettivi/risultati. Invece di baloccarsi con la retorica delle eccellenze e dell’autocelebrazione, bisogna rimettere mano alle regole proprio per valorizzare questo paniere di eccellenze produttive e di territorio che sono come i nostri beni culturali e artistici: unici al mondo ma ampiamente malgestiti. Da noi.

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

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