SEMINARIO FRUIT INNOVATION: “COME INTERNAZIONALIZZARE CON GLI STRUMENTI GIUSTI”

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Nei giorni scorsi, gli operatori del settore ortofrutta si sono ritrovati a Milano in occasione del Seminario dedicato a “L’internazionalizzazione dell’impresa ortofrutticola: risposte concrete a esigenze emergenti”, pre-evento della fiera Fruit Innovation, che si terrà a Fiera Milano, dal 20 al 22 maggio prossimi.

Il Seminario è stato curato da SgMarketing, in collaborazione con Fiera Milano e Ipack-Ima, organizzatori dell’evento fieristico. Sono stati presentati proprio i Modelli da adottare da parte delle aziende che intendono meglio penetrare i mercati internazionali, e sono stati successivamente presentati casi di successo di realtà che sono riuscite a trovare un modello vincente di business per l’export.

 

 Quale linea dell’orizzonte seguire?

L’export italiano dell’ortofrutta è in crescita, da 10 anni a questa parte: il 2014 si è chiuso con un +4,4% in volume e con una flessione dell’1,2% a valore. Un conto però è esportare tout court, un conto è capire – dopo attente analisi – verso quali Paesi, con quali tipologie di prodotto, con quali strategie d’impresa allargarsi su altri mercati (vicini, lontani, Ue, extra-Ue?).

 

I numeri del settore ortofrutta in Italia

A livello mondo, l’Italia è il decimo esportatore mondiale di agroalimentare (un quarto del totale esportato è rappresentato dall’aggregato ortofrutta). Il totale export dell’agroalimentare italiano vale 33,4 Miliardi di euro: frutta fresca, ortaggi, legumi e trasformati ne rappresentano il 22%. “Produciamo – spiega Marco Salvi, Presidente di Fruitimprese – 24 milioni di tonnellate di ortofrutta, ne consumiamo internamente l’8%. Ogni prodotto ha il suo mercato di riferimento: la Germania ha sempre rappresentato il principale Paese di sbocco dell’export, ma ora sta lentamente diminuendo la sua richiesta. Allo stesso tempo, I competitor dell’Italia si fanno agguerriti, nell’ordine Spagna, Olanda, Francia. Paesi che hanno iniziato a guardare, per le loro esportazioni, anche fuori dai confini dell’Unione Europea. Anche l’Italia non è da meno, essendo passata dall’11% al 19%, – in dieci anni, dal 2004 al 2014 – per quanto riguarda l’export extra-Ue”. Se esportare si vuole, occorre dunque che i player italiani si muovano in modo tattico, non casuale.

 

L’analisi del contesto socio-economico: un cauto ottimismo

Da una parte vi sono elementi positivi, quali il cambio euro-dollaro, la diminuzione del costo del petrolio, la ripresa dei consumi. “Dal 2012 si assiste a una ripresa generale dell’export – spiega il Managing Director di SGMARKETING, Claudio Scalise – e questo fa ben sperare”. Non va però dimenticato che nel nostro Paese si consumano sempre meno frutta e ortaggi. Dal 2000 a oggi si sono persi oltre 100 chili di ortofrutta a famiglia. Essenziale diventa dunque, per le aziende del comparto, esportare, in modo efficiente e strategico. “Mantenendo il focus su due punti: l’impegno a ragionare in ottica di filiera, e a capire e sapere che mercati diversi – che si intendono approcciare – richiedono diverse modalità operative e di strategia”.

 

Tre tipologie di “macromercati” per altrettante esigenze

L’analisi di SGMARKETING presentata in occasione del Seminario ha segmentato il mercato in tre macro-gruppi geografici, che “vivono” l’ortofrutta in modi differenti.

I mercati “Consolidati” (Europa ovest, Usa, Canada Giappone, Australia), che rappresentano circa un miliardo di persone, sono caratterizzati tipicamente dalla presenza di un consumatore “critico”, che cioè è attento al time saving, al valore del brand, alla sicurezza degli alimenti e ha una sensibilità ecologica. La frutta e gli ortaggi sono amati nelle declinazioni bio, funzionali, a chilometri zero. Il consumatore predilige anche l’estetica e il piacere sensoriale. I 2,2 miliardi di persone che invece vivono nei mercati del target “Sviluppo” (Europa centrale/orientale America Latina, Russia, Paesi del Golfo, Cina, Corea, Taiwan) vedono la loro classe media apprezzare l’ortofrutta per i suoi standard qualitativi esteriori e intrinseci, oltre che per il brand.

I mercati cosiddetti “New Frontier” (4 miliardi di persone in Africa, india, Turchia, Medio Oriente, altri Paesi dell’Asia) hanno un consumo “per necessità”, sono attenti al prezzo e vivono i prodotti dell’ortofrutta come commodity. “Ragionare per aree diventa, come si vede dalle segmentazioni, essenziale, se si vuole iniziare un percorso di internazionalizzazione. Stabilito il ‘dove’, occorre dunque pensare anche al ‘come’”, precisa Scalise. 

 

Il caso Vog

Durante l’evento sono statie presentate le esperienze concrete di alcuni top player del mercato italiano, che hanno raccontato la loro strategia in occasione del Seminario.

E’ stato il caso di Zespri (leggi news) e di Vog. Il Consorzio delle Cooperative Ortofrutticole dell´Alto Adige (tra i marchi, Marlene, Modì, Kanzi, Pink Lady), rappresenta 16 cooperative dedicate alla produzione di mele, peraltro in continuo rinnovo varietale. Negli ultimi tempi il peso dei mercati di sbocco si è andato modificando: da una parte decrescono l’Italia e la Germania, dall’altra vi è interesse da parte di nuovi mercati, come Africa, Maghreb, Arabia.

Vog, votata all’esportazione, studia con attenzione le nuove destinazioni (un articolato tentativo rivolto al mercato russo, dalle potenzialità altissime, è stato bloccato a causa dell’embargo): “Paesi promettenti potrebbero essere, oltre ai già citati, l’India, gli Stati Uniti, il sud-est asiatico, fatte salve le barriere fitosanitarie attualmente presenti, fortemente limitanti”, spiega Gerhard Dichgans, Direttore Generale del Consorzio. Il modello di business vede il Consorzio lavorare direttamente con il cliente.

 

Caviro, tre modalità di relazione con i Paesi in cui esporta

Fino a due-tre anni fa, la cooperativa agricola che rappresenta 32 soci, specializzati nella produzione vitivinicola (marchi più noti Castellino e Tavernello), aveva come focus il mercato italiano e un posizionamento entry-level.

“Recentemente – spiega Nicolò Tagliarini, Country Manager Caviro Russia-Usa – abbiamo modificato la nostra strategia, affacciandoci alla produzione superpremium, grazie all’acquisizione di nuove aziende, in Veneto e Toscana. E abbiamo iniziato a guardare con forte interesse all’internazionalizzazione, puntando alla massima distribuzione dei nostri marchi strategici, alla copertura di tutti i canali e allo sviluppo di un portafoglio prodotti ad alta marginalità”.

Tre sono i modelli di business utilizzati: “in diretta”, presso le catene della grande distribuzione, come avviene nel Regno Unito; attraverso un importatore, come avviene in Russia; attraverso l’apertura di una filiale direttamente in loco.

 

Unitec, a ogni Paese il suo (tipo di) frutto

Lavorare con una buona strategia di internazionalizzazione significa anche ricordare che a diversi Paesi corrispondono usi e costumi differenti, anche nel consumo dell’ortofrutta. Per esempio, spiega Angelo Benedetti, Presidente di Unitec, specializzata nella fornitura di soluzioni tecnologiche per le diverse fasi di lavorazione di frutta e verdura fresca: “Il mercato asiatico predilige la frutta meno acida. Altri mercati badano molto alla presentazione della merce e al suo packaging. Conoscere queste abitudini significa poter organizzare una distribuzione adatta alle esigenze del consumatore finale”.

Oggi la tecnologia permette di progettare un export differenziato rispetto al grado di maturazione del prodotto; ma anche di selezionare il prodotto stesso in base a colore, dimensione, consistenza, qualità interna ed esterna… in questo modo si giunge a un prodotto dalla “qualità coerente” che, cioè, il consumatore ritrova identica anche a distanza di giorni, quando acquista un prodotto di un certo marchio.

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