SCIOPERO PORTUALI USA: “RISCHIO TSUNAMI LOGISTICO, ANCHE PER LA FRUTTA”

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Monta la preoccupazione per lo sciopero dei lavoratori che, da martedì primo ottobre, sta bloccando 36 porti strategici degli USA, dal Maine al Texas e che potrebbe protrarsi a lungo. Le conseguenze rischiano di essere pesantissime sull’economia globale, determinare una carenza di merci e un aumento dell’inflazione. Secondo Jp Morgan l’impatto economico negativo sul solo Paese nordamericano potrebbe arrivare a 5 miliardi di dollari al giorno. E i vettori hanno già annunciato aumenti importanti.

Lo sciopero, proclamato dall’International longshoremen’s association, coinvolge circa 45 mila addetti in porti situati sulla costa orientale e nella zona del Golfo del Messico, paralizzandole attività di scali in grado di movimentare tra il 40 e il 50% dei volumi di tutti gli scali statunitensi e rischia di mandare nuovamente in crisi il mercato mondiale dei contenitori con perdite giornaliere che JP Morgan stima tra i 3,8 e i 4,5 miliardi di dollari. Le perdite di volume in un mese, potrebbero raggiungere i due milioni di contenitori.

Sono già lunghe le file di navi portacontainer che si sono formate all’esterno dei principali porti degli Stati Uniti. Uno sciopero su larga scala come non si vedeva dal 1977. Il presidente Joe Biden ha il potere di sospendere lo sciopero per 80 giorni per ulteriori trattative, ma la Casa Bianca ha affermato che non ha intenzione di agire. Tanto più che Biden si è schierato dalla parte dei portuali.

Gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale dell’Italia fuori dall’Europa e lo sciopero dei portuali si ripercuoterà anche sul Mediterraneo e in particolare sul porto di Genova.

Il porto di Genova. In apertura, la protesta negli USA

A proposito di Genova, Gianni Vassallo, presidente del Centro agroalimentare di Bolzaneto, che lavora e ha progetti di collaborazione con il porto genovese, spiega: “Al momento non ci sono ripercussioni ed è prematuro fare previsioni, certo è che se lo sciopero dovesse andare per le lunghe si creerebbero dei problemi anche per noi”.

I motivi della protesta
Motivo della protesta: gli stipendi bassi (vengono chiesti aumenti sostanziosi, nell’ordine del 70%), ma anche l’automazione delle gru e dei mezzi di piazzali per movimentare i container. Nel mirino dei portuali, le compagnie di navigazione accusate di avere lautamente guadagnato con noli marittimi fino a 30.000 dollari per un container pieno, ma che non sarebbero disposte a lasciare nulla nei porti scalati dalle loro navi (‘Make and Take operation’ è la definizione usata).

Indirettamente paralizzate anche le attività di trasporto terrestre dei container via camion e ferrovia mentre gli effetti del ritardato e accumulato lavoro sulle navi portacontainer che si addenseranno davanti alle coste orientali degli Stati Uniti potrebbero far propagare gli effetti di questa protesta almeno fino a metà novembre (secondo alcuni anche fino a inizio 2025).

Banane e frutta secca le più penalizzate
Governi, imprese e consumatori sono preoccupati per l’impatto che questo sciopero avrà sugli approvvigionamenti sia nel breve che nel lungo termine. In particolare si guarda con apprensione alla catena logistica di prodotti alimentari (banane in primis) e farmaceutici: gli scaffali dei punti vendita potrebbero presto mostrare dei vuoti. Pesanti conseguenze ci saranno anche sulla frutta secca e altre referenze. Sulla rotta Genova-New York, in particolare, passa la gran parte degli export del Made in Italy e dell’automotive italiano, mentre dagli States arrivano merci come frutta (banane soprattutto) e grandi derrate alimentari necessarie per la produzione industriale italiana di dolci, come noci, mandorle, pistacchi e prugne.

Spediporto: aumenti in vista
“Esportatori e spedizionieri guardano con estrema preoccupazione alla situazione che blocca i porti della Costa Est e del Golfo del Messico”, ha detto all’Ansa il direttore generale di Spediporto, l’associazione degli spedizionieri genovesi, Giampaolo Botta.

“Con lo sciopero si stima che ogni settimana, a livello mondiale, saranno circa 500mila i contenitori che non potranno sbarcare o raggiungere le destinazioni finali. Un danno gravissimo all’economia Usa, ai suoi consumatori, ma anche agli esportatori, che certamente vedranno lievitare il costo dei noli già nelle prossime settimane”.

“Anche i porti del Mediterraneo subiranno pesanti ripercussioni – riferisce Botta – sono a rischio, ogni settimana circa 71.000 contenitori, in ambo le direzioni, sull’asse con la costa orientale degli Stati Uniti, nazione che, per il porto di Genova, rappresenta un riferimento imprescindibile”.

Coldiretti ricorda che le esportazioni marittime di cibo Made in Italy negli Stati Uniti nel 2023 sono state pari a 6,4 miliardi di euro in valore sulla base dei dati Istat sul commercio estero: “Gli Usa rappresentano anche il primo sbocco commerciale extra Ue per il cibo Made in Italy, e il terzo a livello mondiale. Lo sciopero potrebbe influire sulla spedizione di beni deperibili come i prodotti alimentari, causando ritardi significativi che potrebbero comprometterne la qualità o aumentare i costi di trasporto. Ogni anno oltre il 95% in valore delle esportazioni agroalimentare tricolori raggiunge gli States via mare (rispetto al 63% del totale generale), con vino, olio d’olivo e pasta a guidare la classifica dei prodotti più acquistati”.

Lars Jensen, analista di mercato per Vespucci Maritime, vede nero: “Non ci sono segnali di soluzione in tempi rapidi, si rischia una tsunami di dimensioni planetarie”.

Mirko Aldinucci
m.aldinucci@corriereortofrutticolo.it

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