Essere riformisti significa capire quello che può essere cambiato adesso , e quello che si può fare nel medio lungo-periodo. E quello che non si potrà fare mai. La politica è il regno degli annunci, spesso lo sono anche le leggi quando contengono norme che sono scritte in modo tale per non funzionare mai (vedi l’art. 62 del D.L. 24 gennaio 2012 per le pratiche sleali) ma servono solo a consentire al politico di turno di fare un annuncio. L’ex ministro Maurizio Martina una volta disse: “Non farò mai annunci, parlerò solo a cose fatte”. Proposito risibile, finito subito in cavalleria, tant’è che poi il buon Martina è finito nel dorato buen retiro della FAO che è il regno degli annunci (e dei convegni).
Allora, un conto è far invertire la rotta alle politiche agricolo-ambientali dell’Europa, rimettendo la barra sulla necessità di produrre, di garantire cibo e qualità ai cittadini dell’Unione , di non farsi strozzare dagli accordi commerciali coi Paesi terzi, di non essere dipendenti da importazioni senza regole di reciprocità, di rimodulare il Green Deal voluto da Timmermans non con gli agricoltori ma “contro” il mondo produttivo. Tutto questo più o meno è stato portato a casa grazie alle proteste dei trattori in tutta Europa che hanno messo con le spalle al muro la commissione Ue, la sua presidente Ursula Von der Leyen e il commissario polacco che nessuno rimpiangerà. La baronessa tedesca si è dimostrata un’abile navigatrice politica e si ricandida a guidare la Commissione magari con una diversa maggioranza e una politica agricolo-ambientale completamente ‘rimodulata’. Ma, ci chiediamo, basterà per tacitare le proteste del mondo produttivo?
Mentre in Olanda entra in carica il governo del ‘partito dei contadini’ , lo scorso 4 giugno a Bruxelles sono tornati a protestare gli agricoltori. E i risultati delle elezioni europee getteranno ulteriore benzina sul fuoco delle proteste agricole cui la nuova Commissione UE non potrà fare orecchi da mercante. Venendo a noi bisogna dire che i temi legati al mondo dell’ortofrutta sono ancora tutti lì, nonostante la buona volontà del governo Meloni e delle misure introdotte dal DL Agricoltura. Intanto – singolare coincidenza – in concomitanza con questo decreto legge alcune catene sono partite con promozioni su frutta e verdura a 0,99 cent/kg, il che significa “zero ai produttori”, in pratica un calcio negli stinchi. Poi sui temi della copertura assicurativa (e di Agricat) siamo ancora in alto mare , con l’impossibilità di assicurarsi per tantissime aziende visti i costi proibitivi. Infine sui due temi collegati del prezzo equo (mai al di sotto dei costi di produzione, si dice) e della stretta sulle pratiche sleali si naviga anche qui a vista.
L’avv. Roveda proprio su CorriereOrtofrutticolo.it ha ben spiegato la grande difficoltà di determinare un costo medio di produzione da parte di Ismea proprio per le caratteristiche strutturali e regionali dell’offerta ortofrutticola . Si rischia di aggiungere problema a problema, contenzioso a contenzioso. Per tutelare davvero le imprese produttive dallo strapotere delle centrali d’acquisto della GDO serve forse un intervento di correzione dell’Europa della direttiva stessa , da rendere più stringente e meno ‘aggirabile’. Poi il prezzo equo, altra chimera. Chi lo fissa, chi lo impone, chi lo fa rispettare? Un professore della Bocconi, Vitaliano Fiorillo, sul mensile Eco (diretto da Enrico Mentana) ha pubblicato un lungo articolo molto convincente dal titolo “Prezzo equo per gli agricoltori? Dipende anche da noi” . Fiorillo sostiene che l’azienda agricola perde valore lungo la catena a causa delle nostre abitudini di consumo, della standardizzazione dei prodotti e della volatilità dei costi di produzione; quindi da fattori strutturali e difficilmente controllabili e comprimibili. Una risposta “semplice e semplicistica è la vendita diretta…ma solo pochissime imprese agricole sono in grado di realizzarla: dipende dal prodotto, dalla localizzazione dell’azienda, dalle sue capacità gestionali e finanziarie”. La vera soluzione “non è così semplice né immediata , perché implica un cambiamento del modo di produrre e consumare”.
Insomma le varie iniziative nate negli ultimi 40 anni “la vendita diretta in azienda, l’home delivery, i gruppi di acquisto solidale, i mercatini dei produttori, gli orti urbani, i negozi a chilometro zero” funzionano “ma solo su piccolissima scala”. Accorciare la filiera non è solo tagliare l’intermediario “ma offrire al consumatore un prodotto differenziato attraverso il radicamento , di qualità riconoscibile, fresco, sostenibile”.
Per superare i limiti strutturali dei mercatini dei produttori “bisogna pensare a grandi aggregazioni di produttori che condividano strutture fisiche per la distribuzione e la trasformazione”, veri e propri food-hub , centri di aggregazione della produzione locale, che poi da lì viene distribuita ai clienti o direttamente ai consumatori finali. “Organizzazioni che funzionino sì sulla condivisione degli asset fisici di adeguate dimensioni per arrivare al mercato, ma con una agenda strategica condivisa”. Aziende agricole autonome e indipendenti che si coordinano nell’ambito di una strategia comune sovra-aziendale, una filiera corta basata sul valore immateriale del prodotto, il radicamento.
Il ragionamento del prof. Fiorillo è realistico e convincente proprio perché fa capire che il prezzo equo oggi è una chimera se non nei casi – molto limitati – in cui i produttori controllano l’intera filiera dalla produzione alla distribuzione. E che anche le attuali forme di aggregazione (coop, consorzi, OP) non sono in grado di risolvere il problema perché gli manca l’ultimo miglio (il rapporto col consumatore) , senza contare le inefficienze e gli sprechi legati alle false coop o alle OP dove gira solo della carta. Quindi anche i continui appelli all’aggregazione , ai fini del prezzo equo e remunerativo, alla fine lasciano il tempo che trovano.
Lorenzo Frassoldati
direttore del Corriere Ortofrutticolo
l.frassoldati@alice.it
RASSEGNATEVI, IL PREZZO EQUO RESTA UNA CHIMERA
Essere riformisti significa capire quello che può essere cambiato adesso , e quello che si può fare nel medio lungo-periodo. E quello che non si potrà fare mai. La politica è il regno degli annunci, spesso lo sono anche le leggi quando contengono norme che sono scritte in modo tale per non funzionare mai (vedi l’art. 62 del D.L. 24 gennaio 2012 per le pratiche sleali) ma servono solo a consentire al politico di turno di fare un annuncio. L’ex ministro Maurizio Martina una volta disse: “Non farò mai annunci, parlerò solo a cose fatte”. Proposito risibile, finito subito in cavalleria, tant’è che poi il buon Martina è finito nel dorato buen retiro della FAO che è il regno degli annunci (e dei convegni).
Allora, un conto è far invertire la rotta alle politiche agricolo-ambientali dell’Europa, rimettendo la barra sulla necessità di produrre, di garantire cibo e qualità ai cittadini dell’Unione , di non farsi strozzare dagli accordi commerciali coi Paesi terzi, di non essere dipendenti da importazioni senza regole di reciprocità, di rimodulare il Green Deal voluto da Timmermans non con gli agricoltori ma “contro” il mondo produttivo. Tutto questo più o meno è stato portato a casa grazie alle proteste dei trattori in tutta Europa che hanno messo con le spalle al muro la commissione Ue, la sua presidente Ursula Von der Leyen e il commissario polacco che nessuno rimpiangerà. La baronessa tedesca si è dimostrata un’abile navigatrice politica e si ricandida a guidare la Commissione magari con una diversa maggioranza e una politica agricolo-ambientale completamente ‘rimodulata’. Ma, ci chiediamo, basterà per tacitare le proteste del mondo produttivo?
Mentre in Olanda entra in carica il governo del ‘partito dei contadini’ , lo scorso 4 giugno a Bruxelles sono tornati a protestare gli agricoltori. E i risultati delle elezioni europee getteranno ulteriore benzina sul fuoco delle proteste agricole cui la nuova Commissione UE non potrà fare orecchi da mercante. Venendo a noi bisogna dire che i temi legati al mondo dell’ortofrutta sono ancora tutti lì, nonostante la buona volontà del governo Meloni e delle misure introdotte dal DL Agricoltura. Intanto – singolare coincidenza – in concomitanza con questo decreto legge alcune catene sono partite con promozioni su frutta e verdura a 0,99 cent/kg, il che significa “zero ai produttori”, in pratica un calcio negli stinchi. Poi sui temi della copertura assicurativa (e di Agricat) siamo ancora in alto mare , con l’impossibilità di assicurarsi per tantissime aziende visti i costi proibitivi. Infine sui due temi collegati del prezzo equo (mai al di sotto dei costi di produzione, si dice) e della stretta sulle pratiche sleali si naviga anche qui a vista.
L’avv. Roveda proprio su CorriereOrtofrutticolo.it ha ben spiegato la grande difficoltà di determinare un costo medio di produzione da parte di Ismea proprio per le caratteristiche strutturali e regionali dell’offerta ortofrutticola . Si rischia di aggiungere problema a problema, contenzioso a contenzioso. Per tutelare davvero le imprese produttive dallo strapotere delle centrali d’acquisto della GDO serve forse un intervento di correzione dell’Europa della direttiva stessa , da rendere più stringente e meno ‘aggirabile’. Poi il prezzo equo, altra chimera. Chi lo fissa, chi lo impone, chi lo fa rispettare? Un professore della Bocconi, Vitaliano Fiorillo, sul mensile Eco (diretto da Enrico Mentana) ha pubblicato un lungo articolo molto convincente dal titolo “Prezzo equo per gli agricoltori? Dipende anche da noi” . Fiorillo sostiene che l’azienda agricola perde valore lungo la catena a causa delle nostre abitudini di consumo, della standardizzazione dei prodotti e della volatilità dei costi di produzione; quindi da fattori strutturali e difficilmente controllabili e comprimibili. Una risposta “semplice e semplicistica è la vendita diretta…ma solo pochissime imprese agricole sono in grado di realizzarla: dipende dal prodotto, dalla localizzazione dell’azienda, dalle sue capacità gestionali e finanziarie”. La vera soluzione “non è così semplice né immediata , perché implica un cambiamento del modo di produrre e consumare”.
Insomma le varie iniziative nate negli ultimi 40 anni “la vendita diretta in azienda, l’home delivery, i gruppi di acquisto solidale, i mercatini dei produttori, gli orti urbani, i negozi a chilometro zero” funzionano “ma solo su piccolissima scala”. Accorciare la filiera non è solo tagliare l’intermediario “ma offrire al consumatore un prodotto differenziato attraverso il radicamento , di qualità riconoscibile, fresco, sostenibile”.
Per superare i limiti strutturali dei mercatini dei produttori “bisogna pensare a grandi aggregazioni di produttori che condividano strutture fisiche per la distribuzione e la trasformazione”, veri e propri food-hub , centri di aggregazione della produzione locale, che poi da lì viene distribuita ai clienti o direttamente ai consumatori finali. “Organizzazioni che funzionino sì sulla condivisione degli asset fisici di adeguate dimensioni per arrivare al mercato, ma con una agenda strategica condivisa”. Aziende agricole autonome e indipendenti che si coordinano nell’ambito di una strategia comune sovra-aziendale, una filiera corta basata sul valore immateriale del prodotto, il radicamento.
Il ragionamento del prof. Fiorillo è realistico e convincente proprio perché fa capire che il prezzo equo oggi è una chimera se non nei casi – molto limitati – in cui i produttori controllano l’intera filiera dalla produzione alla distribuzione. E che anche le attuali forme di aggregazione (coop, consorzi, OP) non sono in grado di risolvere il problema perché gli manca l’ultimo miglio (il rapporto col consumatore) , senza contare le inefficienze e gli sprechi legati alle false coop o alle OP dove gira solo della carta. Quindi anche i continui appelli all’aggregazione , ai fini del prezzo equo e remunerativo, alla fine lasciano il tempo che trovano.
Lorenzo Frassoldati
direttore del Corriere Ortofrutticolo
l.frassoldati@alice.it
LA SPREMUTA DEL DIRETTORE
L'ASSAGGIO
Sfoglia ora l'Annuario 2024 di Protagonisti dell'ortofrutta italiana
Sfoglia ora l'ultimo numero della rivista!