Boom del radicchio in provincia di Treviso: in dieci anni la produzione è più che raddoppiata. La raccolta è passata da 48 mila quintali a ben 103 mila (dato Istat 2011). Gli ettari a radicchio nel 200 erano 704, oggi superano i 1.150. Sono la ricchezza dell’orto trevigiano, che in buona parte si estende su aree bene conservate sotto il profilo ambientale.
Ne sono un esempio il Parco del Fiume Sile e il territorio delle risorgive dalle quali spunta una rete di fiumi, le cui acque sono “miracolose” per gli ortaggi ed i radicchi in particolare. Si coltivano soprattutto il radicchio rosso tardivo di Treviso, che nelle quotazioni si stacca da tutti, e il variegato di Castelfranco Veneto. Sono fiori che si mangiano, con i quali spesso si addobbano tavole e ambienti.
“Sono dati eccezionali, commenta Paolo Manzan (nella foto a fianco), presidente del Consorzio di tutela del radicchio rosso Igp di Treviso e del variegato di Castelfranco, che sorprendono e lasciano felicemente stupiti. Confermano che, quando ci si impegna su un prodotto puntando sulla qualità e sulla identità, si fa centro. In tempo di così pesante crisi economica, l’orticoltura e l’agricoltura in generale si dimostrano capaci di reggere e di sviluppare posti di lavoro.
Un radicchio tanto pregiato e riconosciuto per qualità non può essere delocalizzato, è tutto nostro, appartiene alla nostra terra ed alla nostra storia. Non si ottiene che da noi. E’, dunque, un’opportunità, vogliamogli bene. Tanto successo è una ragione in più per sostenere il Consorzio che lo tutela e lo promuove. I produttori dovrebbero di questo essere ben coscienti e quindi aderire più compatti e più convinti”.
Per Cesare Bellò (nella foto a fianco), direttore di OPO Veneto, il boom del radicchio in provincia di Treviso “non è un miracolo, né una casualità, ma è il risultato di una lunga e costante azione di promozione della qualità, di formazione dei produttori, di sviluppo del marketing e di aggregazione dei coltivatori, di investimento nella professionalità e nell’immagine. T
utto questo, in una ventina di anni, ha trasformato in gioiello redditizio un ortaggio popolare, poco conosciuto, presente in un mercato locale o poco più che regionale ed in via di scomparsa. Può crescere ancora molto perché ne ha le premesse, a condizione però che si programmi e si concentri la produzione e si tuteli l’ambiente in cui è coltivato, la biodiversità del territorio”. (fonte: ortoveneto)