PROTAGONISTI, FALCONI (ITALIA ORTOFRUTTA): “AGGREGARE LA PRODUZIONE PER UN SETTORE PIÙ FORTE”

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Nella giornata dei ‘Protagonisti dell’Ortofrutta Italiana’ svoltasi a Matera il 22 gennaio scorso (leggi news), il direttore dell’Unione Nazionale Italia Ortofrutta Vincenzo Falconi (nella foto), ha svolto una relazione sul tema dell’aggregazione come pre-requisito per il rilancio del settore.

Essa costituisce il primo ‘mattone’ del progetto triennale ‘L’ortofrutta riparte dal Sud’, lanciato a Matera dai partners dei Protagonisti, dalla redazione della nostra rivista e da Italia Ortofrutta in particolare. Anticipiamo alcuni passaggi della relazione che sarà pubblicata integralmente sul Corriere Ortofrutticolo di febbraio in distribuzione a Fruit Logistica.

 

 

Vincenzo Falconi
 
Il progetto ‘L’ortofrutta riparte dal Sud’ è la naturale evoluzione della partecipazione di Italia Ortofrutta – Unione Nazionale al noto appuntamento ‘Protagonisti dell’Ortofrutta Italiana’, che ci ha visti come principali sponsor nelle precedenti edizioni. Al di là degli aspetti celebrativi e dei dovuti riconoscimenti, condividiamo il messaggio di fondo di questo momento d’incontro della filiera, ovvero quello del valore del lavoro svolto con passione e professionalità come elemento imprescindibile per raggiungere obiettivi e risultati ambiziosi. Non possiamo tuttavia prescindere da un’attività di analisi delle dinamiche del nostro settore che, pur essendo strategico nel panorama agricolo, troppo spesso non vede riconosciuta la giusta importanza o addirittura in certe circostanze viene incomprensibilmente dimenticato.
L’ortofrutta è la grande assente della campagna ministeriale volta a favorire il consumo dei prodotti DOP/IGP e i prodotti ortofrutticoli non sono presenti nello spot pubblicitario diffuso per rilanciare il nostro agroalimentare negli Stati Uniti.
Questi elementi portano a ripensare alla capacità di fare sistema del settore: forse non basta avere il primato produttivo europeo, non basta essere primi nell’utilizzo delle risorse destinate all’Organizzazione Comune di Mercato e avere una parte del Paese fortemente aggregata e competitiva, per avere la giusta considerazione.
Dobbiamo purtroppo prendere atto che il settore ortofrutticolo nel suo complesso si trova in una situazione di perdita di competitività: non riusciamo più a interpretare il mercato come dovremmo, con la conseguenza che si fa sempre più fatica a fare reddito.
Ecco gli effetti della perdita di competitività: calo dei consumi; disaffezione e limitato apprezzamento verso i nostri prodotti; bassa remunerazione commerciale.

 

 

Le cause: 1. Carenza di relazioni strategiche competitive: abbiamo pezzi di filiera che non comunicano tra di loro, che difficilmente collaborano per ridare valore al prodotto agli occhi del consumatore. Il rapporto tra distribuzione e produzione ci vede spesso come controparte e non come partner intenti a perseguire il comune obiettivo di ridare valore al prodotto ortofrutticolo;
2. Comunicazione di settore inefficiente: la mancanza di una comunicazione adeguata si riflette sulla scarsa percezione dell’effettivo valore dei prodotti da parte del consumatore;
3. Assenza di una strategia complessiva di settore: manca un piano d’azione condiviso dagli attori della filiera in grado di tendere verso un unico obiettivo strategico, capace di mettere al centro il valore del prodotto. Un passo necessario per remunerare come si deve chi produce e vive di ortofrutta;
4. Politica di indirizzo del settore: si avverte l’assenza di una politica di indirizzo forte di una visione organica delle nostre problematiche di competitività, che non possono essere affrontate con un approccio puntiforme ma che richiedono necessariamente una strategia di sistema.

Abbiamo tante buone imprese, pochi grandi gruppi ma che si muovono tutti in ordine sparso. Spesso siamo più bravi a dividerci che a condividere e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Alcuni dati sono emblematici di questa situazione: la Spagna non solo esporta 3 volte quanto esporta l’Italia, ma si è anche sostituita come fornitore di quei Paesi che erano tradizionalmente il mercato di sbocco delle nostre produzioni. Inoltre, le nostre imprese si rapportano a fatica con i grandi gruppi della GDO anche italiana.
È necessario cambiare approccio e affrontare i problemi con una visione di sistema, per riportare l’attenzione sull’ortofrutta in un’ottica di riflessione e di strategia competitiva.
Eccoci dunque al grande tema del Sud e al tema strategico dell’aggregazione del prodotto italiano che è il primo dei grandi argomenti dell’iniziativa “L’ortofrutta riparte dal Sud”, perché qualsiasi politica di sviluppo non può prescindere dal controllo e dall’aggregazione della produzione.
Dobbiamo puntare sul comparto ortofrutticolo, perché è tra i pochi comparti agricoli italiani che ha i numeri e le capacità tecniche e organizzative per reggere il confronto con i nostri concorrenti. L’ortofrutta è una componente fondamentale del sistema agroalimentare nazionale con 462.500 aziende produttrici, 992.305 ettari coltivati a ortofrutta, 25 milioni di tonnellate prodotte ogni anno.
L’ortofrutta rappresenta il 25% circa della produzione agricola italiana e coinvolge un elevato numero di aziende ed ettari coltivati: abbiamo tuttavia un’estrema frammentazione delle aziende produttrici che va a discapito dell’aggregazione e che si riflette nell’elevato numero di OP attive sul territorio nazionale ma che spesso, in particolare nel centro-sud, non raggiungono le dimensioni economiche idonee per realizzare una efficace concentrazione, valorizzazione e commercializzazione della produzione.
Quasi il 60% della produzione ortofrutticola si trova nel Meridione: le regioni del Sud Italia infatti sono regioni ortofrutticole per eccellenza. Tuttavia è proprio in queste regioni che si registra il più basso livello di aggregazione in Organizzazioni dei produttori: solo un 25% contro il 90% dell’aggregazione registrata nel Nord Italia. Su circa 6,3 miliardi di produzioni ortofrutticole del Sud solo 1,6 sta nelle OP. Il livello di aggregazione è da ritenersi quindi insoddisfacente nonostante l’elevato numero di OP – attualmente in numero di 155 su 299 OP riconosciute a livello nazionale – che tuttavia raramente raggiungono quelle dimensioni economiche che consentono di attivare economie di scala e di rispondere alle richieste degli operatori del commercio e della distribuzione.
Quali sono i punti di forza e di debolezza del nostro Sud ortofrutticolo e su che cosa bisogna puntare per il rilancio?
Sicuramente l’ortofrutta del meridione ha una ampiezza di produzioni che non ha eguali nel resto del Paese con filiere produttive specializzate di qualità. Il basso livello di aggregazione in OP ed una più accentuata propensione all’individualismo, rispetto ad altre aree, rende più complessa la propensione a fare sistema ed ad affrontare in modo coordinato il mercato ma anche la sfiducia nella capacità di sviluppo del sud stesso sono un punto di debolezza che porta spesso a non avere una visione per il futuro.
La carenza nell’attuazione locale delle politiche nazionali ed europee, la lontananza dai mercati di destinazione ed un oggettivo deficit infrastrutturale completano il quadro.
Le opportunità di sviluppo non possono prescindere dall’aggregazione della produzione e dalla concentrazione dei decisori di vendita. Tuttavia investire in risorse umane ed in professionalità legate al marketing ed all’ottimizzazione dei processi aziendali ed ai rapporti con i clienti unitamente alle attività legate alla ricerca applicata ed al trasferimento di competenze ed innovazioni tramite uno più stretto rapporto con i nostri centri di ricerca, sono elementi da cui non si può prescindere per riacquisire competitività.
Siamo (ancora) tra i primi otto paesi industrializzati al mondo e abbiamo tutte le carte in regola per fare bene e fare meglio anche in ortofrutta, specialmente al Meridione.
Ipotizzando di riuscire ad aggregare il 60% della produzione del Sud, che è tra l’altro l’obiettivo che si pone l’Europa con il sostegno all’OCM, arriviamo alla considerazione che annualmente il sistema ortofrutticolo meridionale non utilizza risorse per circa 200 milioni di euro. Tali risorse sono sottratte alle politiche per la competitività, valorizzazione e miglioramento qualitativo delle produzioni e delle condizioni di commercializzazione. A prescindere dall’indotto che chiaramente potrebbe generarsi con l’attivazione di tali investimenti, bisogna inoltre tenere conto del fatto che i programmi operativi delle OP riservano, come dato medio nazionale, una spesa del 25% al costo per il personale impiegato in attività finalizzate al miglioramento qualitativo delle produzioni, marketing e assistenza tecnica agronomica. Considerando questo stesso tasso di spesa, il basso grado di aggregazione della produzione ortofrutticola comporta la perdita annua di circa 50 milioni di euro, risorse che potrebbero utilmente essere destinate all’assunzione di oltre 1.200 unità/annue di personale specializzato per le mansioni previste dai programmi operativi ortofrutta. Ne deriva pertanto che agire sul fronte dell’aggregazione della produzione vuole dire anche fare qualcosa di concreto per le politiche occupazionali.
Volendo analizzare il dato sotto un diverso punto di vista, possiamo affermare che ogni incremento di un punto percentuale del livello di aggregazione rappresenta in termini assoluti una maggiore VPC aggregata di oltre 62 milioni di euro, corrispondenti al livello di fatturato di una OP di grandi dimensioni.
In altri termini la crescita di un punto percentuale del livello di aggregazione è paragonabile alla costituzione di una OP di “prima fascia” con tutti gli effetti sul piano occupazionale e dell’indotto che ne derivano sia a livello di produzione che di lavorazione e commercializzazione. Ciò significherebbe anche attivare nuovi investimenti tramite i programmi operativi nell’ordine di circa 5.800.000 euro annui.
Migliorare il livello di aggregazione del settore, può dunque determinare benefici su tutti i fronti.

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