PRATICHE SLEALI, QUANTE “TRAPPOLE” SI NASCONDONO NELL’ULTIMO DECRETO LEGISLATIVO…

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Nel “Corriere Ortofrutticolo” del 29 luglio mi sono occupato del decreto legislativo, che dovrebbe dare attuazione alla legge delega n. 52 del 22 aprile che ha recepito all’art. 7 la direttiva sulle pratiche sleali nella filiera agroalimentare.

In quell’articolo commentavo la prima edizione dello schema di decreto legislativo che ero riuscito ad avere, ma nella seduta proprio del 29 luglio il Consiglio dei Ministri ha approvato, sia pure “in via preliminare” come recita il comunicato stampa, un nuovo testo, perché costretto dalla minaccia della Commissione che, non solo verso l’Italia, aveva rilevato il superamento dei termini per l’attuazione della direttiva. Il testo definitivo del nuovo decreto legislativo non è stato ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ma, essendo venuto a conoscenza dello schema di decreto legislativo che è entrato in Consiglio dei Ministri temo che, come capita qualche volta nell’attuazione di una legge delega, i principi ivi fissati potrebbero non essere stati trasferiti tutti correttamente.
Pur conscio di quanto possa contare il mio giudizio, mi permetto di avanzare alcune osservazioni sul testo che potrebbe essere stato approvato dal Consiglio dei Ministri.
La prima riguarda il taglio dell’esclusione dell’obbligo della forma scritta dei conferimenti dei soci di una cooperativa contenuto, invece, nella versione precedente. Ricordo, che al punto e) dell’art. 7 della legge delega viene raccomandato di “salvaguardare la specificità dei rapporti intercorrenti tra imprenditore agricolo e cooperativa agricola di cui è socio….” con riferimento sia ai termini di pagamento che alla forma scritta del contratto. Non escludo che tale principio non possa essere accolto in un successivo decreto ministeriale, ma proprio perché contenuto nella legge delega, dovrebbe trovare attuazione esplicita nel decreto legislativo. La specificità dei rapporti tra imprenditore agricolo e cooperativa di cui è socio dipende dal fatto che questi sono disciplinati dallo statuto, da cui deriva nelle cooperative di trasformazione l’obbligo di conferimento dei prodotti e la loro remunerazione secondo il principio di mutualità.
All’art. 2, “Definizioni”, dello schema di decreto legislativo entrato in Consiglio dei MInistri è stata inserita la definizione di “accordo quadro” e viene “… fatta salva la definizione di contratto quadro di cui all’art. 1, lettera f) del D.Lgs. 102/2005”. In questo D.Lgs. si precisa al punto f) dell’art. 1, che i contraenti del contratto quadro sono le organizzazioni di produttori e le “organizzazioni di imprese della trasformazione, distribuzione e commercializzazione “ che abbiano ricevuto mandato dalle imprese di impegnarle per la stipula di contratti quadro. In base a questa definizione e tenendo conto di quanto recita il comma 5, art. 3, dello schema di decreto legislativo, dove si fa riferimento alle condizioni contrattuali definite nell’ambito di accordi quadro “… stipulati dalle organizzazioni professionali maggiormente rappresentative a livello nazionale….” si potrebbe concludere che il decreto legislativo riconosce due tipologie di contratti collettivi: gli accordi quadro e i contratti quadro. A parte il fatto, che non sarebbe male venisse precisato che per la stipula di accordi quadro anche le organizzazioni professionali dovrebbero aver mandato dalle imprese da esse rappresentate, il legislatore non dovrebbe dimenticare, che dal 2005 tanta strada è stata fatta per regolare i rapporti di filiera e altra sta per essere percorsa dalla nuova PAC per cui, ad esempio, non sono da dimenticare gli accordi interprofessionali.
Al comma 2 dell’art. 6 il decreto legislativo stabilisce che la fissazione da parte dell’acquirente di un prezzo inferiore ai costi medi di produzione risultanti dall’elaborazione mensile dell’ISMEA “..rileva quale parametro di controllo della sussistenza di una pratica commerciale sleale”. Al punto q) dell’art. 7 della legge delega viene stabilito, invece, che solo un prezzo inferiore del 15% al costo medio di produzione fissato dall’ISMEA vale quale parametro di controllo. A parte la difficoltà di stabilire a quale costo medio di produzione si deve fare riferimento, per cui rimando al precedente articolo del “Corriere Ortofrutticolo” , stabilire che qualunque sia il livello di prezzo inferiore al costo medio calcolato dall’ISMEA possa essere assunto a parametro di controllo di una pratica commerciale sleale, potrebbe diventare un facile motivo per alimentare il contenzioso tra acquirente e fornitore. Da non dimenticare poi, che al punto q) della legge delega si stabilisce che la mancanza di almeno una delle condizioni richieste dall’art. 168, paragrafo 4, del Reg. (UE) n. 1308/2013 costituisce in ogni caso una pratica commerciale sleale. Queste condizioni sono: il prezzo, la quantità e la qualità dei prodotti, la durata del contratto, le scadenze e le procedure di pagamento, le modalità di raccolta e consegna e, condizione mai citata né in questa versione della schema di decreto né nella precedente, le norme applicabili in caso di forza maggiore. Sono condizioni tutte difficili da dimenticare in un contratto, ma non prevedere che debbano anche essere inserite le norme applicabili in caso di forza maggiore potrebbe essere causa di contenzioso tra le parti.
Spero che il Consiglio dei Ministri riveda il testo approvato “in via preliminare”, perché bisogna evitare che la sua futura applicazione alimenti il contenzioso tra acquirenti e fornitori, mentre l’obiettivo della Commissione e anche del Governo è certamente quello di tutelare la parte più debole, gli agricoltori, ma nello stesso tempo di agevolare i rapporti di filiera.

Corrado Giacomini

economista agrario

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