PORTI CONDIZIONATI DALLA ZAVORRA DELLA LOGISTICA

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Il traffico container in Italia è condizionato dalla frammentazione degli scali sul territorio che, unita alle croniche, e fortemente incisive, carenze di infrastrutture ferroviarie, impone ai nostri porti di avere un bacino di utenza prevalentemente interregionale, che non riesce ad allargarsi, se non in misura molto ridotta, verso l’Europa.

 

Al contempo, però, il traffico non containerizzato, in particolare quello trasportato con navi Ro-ro, si giova di questa frammentazione, che permette alla merce di arrivare su banchine vicine ai punti di destinazione. A illustrare la situazione, in un articolo del Sole24Ore, sono i dati raccolti dall’Isfort, l’Istituto superiore di formazione e ricerca per i trasporti, presieduto dal segretario generale della Fit-Cisl, Giovanni Luciano.

 

Oltre l’80% dei contenitori transitati nel porto di Genova, registra l’Isfort, raggiunge Lombardia (che, da sola, assorbe la metà dei container), Emilia Romagna e Veneto, mentre il resto della merce viene suddiviso soprattutto tra territorio ligure, piemontese e Valle d’Aosta. Nel porto di Napoli, invece, circa il 65% delle merci containerizzate ha come origine o destinazione il territorio regionale e la restante quota si distribuisce tra le regioni contermini. Per quanto riguarda i contenitori sbarcati nel porto de La Spezia, per il 28% sono diretti in Lombardia, per il 26% in Emilia Romagna, per il 15% in Toscana, per il 12,6% in Veneto, per l’8,6% in Liguria, per il 5,3% in Piemonte e solo per il 4,5% verso altre destinazioni ma soprattutto nazionali.

 

Benché distribuito su molti porti nazionali, il traffico contenitori tende comunque a concentrarsi, sotto il profilo quantitativo, in alcune precise aree. Nel 2010, rileva Isfort, i container sbarcati in Italia, al netto di porti di transhipment (cioè Gioia Tauro, Taranto e Cagliari, che hanno spostato, da soli, 4 milioni di teu), sono stati 5,7 milioni e il 67,5% di questo traffico è stato movimentato nel quadrante Tirrenico settentrionale (Savona-Vado, Genova, La Spezia e Livorno).

 

Il resto dei contenitori è risultato diretto verso altri quadranti: il 14% nel Tirreno centro-meridionale (Civitavecchia, Napoli e Salerno); l’11,7% nell’Adriatico settentrionale (Venezia, Monfalcone e Trieste); il 5,1% nell’Adriatico centro-meridionale (Ravenna, Ancona, Bari e Brindisi). La distribuzione dei container, aggiunge Isfor, "sembra seguire la geografia industriale del Paese", mentre l’articolazione di quello non containerizzato "sembrerebbe essere influenzata dalla concentrazione degli insediamenti umani".

 

I traffici Ro-ro, nel 2010, si sono concentrati per il 24,5% tra Savona, Genova, La Spezia e Livorno, per il 9% tra Trieste, Monfalcone e Venezia; per il 10,3% tra Ravenna, Ancona, Bari e Brindisi; per il 21,3% tra Messina, Catania e Palermo; per il 20,7% tra Civitavecchia, Napoli e Salerno; per il 12,7% tra Olbia e Cagliari. Secondo Isfort la produzione italiana, in qualche modo "ha bisogno di un modello logistico antitetico a quello fortemente concentrato e rivolto alla grande industria di trasformazione, tipico dei porti del Nord Europa".

 

Resta il fatto che scarseggia la movimentazione di merci verso l’Europa e "questo è il limite – afferma Luciano – di una infrastrutturazione di portata non continentale, che si è sviluppata molto al servizio del territorio circostante e spesso si ferma alla Pianura Padana e non "buca" verso l’Europa. Abbiamo una portualità basata sul restrittivo concetto che piccolo è bello. E l’unico grande scalo con fondali capaci di accogliere anche le nuove enormi portacontainer, Gioia Tauro, è relegato al transhipment per mancanza di collegamenti adeguati".

 

L’approccio di Isfort non è condiviso da Francesco Nerli, presidente di Assoporti. "Il sistema portuale italiano – afferma – può anche essere frammentato ma resta il fatto che una forte percentuale del traffico container si concentra su 4-5 porti. Inoltre, le merci non containerizzate sono il 70% di quelle che entrano in Italia ed è positivo che vadano su porti distribuiti sul territorio. È in armonia con quanto prevede il Libro bianco della Ue: scali vicini alle destinazioni finali consentono di mettere meno merci sulle strade. Poi, ovviamente, per competere di più col Nord Europa ci vogliono nuove infrastrutture ferroviarie, come il terzo valico, la pontremolese e la Napoli-Bari. I dati Eurostat certificano che con 468 milioni di tonnellate di merci passate nel 2009 nei porti, l’Italia è al secondo posto in Europa per movimentazione dopo l’Uk (501 milioni)".

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