Spegnendo un gene, le piante possono diventare veri e propri ”magazzini” capaci di accumulare lo iodio, anziché disperderlo nell’atmosfera. Le piante di pomodoro sono state le prime ad essere trasformate in questo modo e il risultato, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, è stato ottenuto in Italia. La ricerca è stata coordinata dal gruppo della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Il gruppo è diretto dal fisiologo vegetale Pierdomenico Perata, e lo studio è condotto in collaborazione con gli endocrinologi dell’Università di Pisa guidati da Aldo Pichera. La scoperta apre nuove frontiere nella medicina per prevenire le malattie causate dalla carenza di iodio come quelle della tiroide. Diventa infatti possibile produrre verdure ad alto contenuto di iodio e proporle come un’alternativa nelle diete basate sul sale arricchito con lo iodio, spesso in conflitto con le politiche sanitarie di diversi Paesi impegnati nella prevenzione di ipertensione e malattie cardiovascolari. ”Stiamo studiando pomodori che accumulano quantità di iodio sufficienti ad apportare l’intera dose giornaliera di iodio, contenuta in un pomodoro solo, consentendo di aumentare quindi le quantità presenti normalmente in frutta e verdura”, ha detto il medico Massimo Tonacchera, dell’Università di Pisa e collaboratore da anni con il gruppo di Perata. Le piante sono generalmente povere di iodio perché in condizioni normali lo assorbono per poi emetterlo nell’atmosfera in forma gassosa.
”Noi – spiega Perata – siamo riusciti ad aumentarne il contenuto nelle piante eliminando la funzione di un gene responsabile dell’emissione gassosa, peraltro dannosa per l’ozono, e abbiamo dimostrato che la sua bassa quantità nei vegetali non deriva dall’incapacità di assorbirlo, ma piuttosto di trattenerlo nei tessuti”. Spegnendo il gene che aiuta le piante a disperdere lo iodio, quindi ”abbiamo simulato il funzionamento della tiroide umana in un sistema vegetale, constatando che la proteina responsabile dell’assorbimento dello iodio nella tiroide è in grado di funzionare anche nelle piante”. In questo modo i ricercatori hanno potuto arricchirlo senza ricorrere all’introduzione di nuovi geni nella pianta, sottolinea Perata, ”anche se – osserva – l’ingegneria genetica si è nuovamente dimostrata fondamentale per spiegare le basi molecolari dei processi viventi”. (fonte: Ansa)