PESCA DI LEONFORTE IGP, IL CONSORZIO HA UN SOGNO (REALIZZABILE): AGGREGARE Il 100% DELLA PRODUZIONE

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L’obiettivo del neonato consorzio di tutela della pesca di Leonforte IGP, riconosciuto lo scorso aprile, è quello di arrivare ad aggregare, in breve tempo, il 100% della superficie produttiva di questa eccellenza frutticola italiana.

L’intenzione è rilanciare sul mercato questo prodotto tipico siciliano anche attraverso l’emissione, ancora allo studio da parte delle singole aziende socie, di un prestito obbligazionario che stimoli il mercato a scommettere su questo frutto unico.Si tratta di una percoca tardiva siciliana, presente in due varietà, bianca e gialla, dolce e croccante come quelle della migliore tradizione contadina, ideale per il consumo fresco ma anche per quello trasformato in forma di confezione sciroppata, marmellate e succhi.

L’obiettivo aggregativo non sembra impossibile anche perché la squadra che sta dietro al progetto consortile, che vede come aziende capofila la più antica dei Fratelli Gervasi e la Naturalmente Leonforte del presidente del consorzio Domenico Di Stefano, composta da un binomio perfetto di operatività. Da una parte il presidente Di Stefano (fondatore dell’azienda Naturalmente Leonforte), detto Nick, che è il cuore pulsante di questo modello aggregativo unico in Italia e basato proprio sulla sua passione per questo tipo di coltura, un vero e proprio pallino per lui, sin da quando era ragazzo. Dall’altra, fondamentale è anche l’affiancamento della direttrice del consorzio, Rita Serafini, chiamata nel piccolo paese al centro del sistema montuoso degli Erei, per la sua più che decennale esperienza al Ministero dell’Agricoltura, presso l’ufficio certificazioni di origine che sta già studiando, con i produttori nel quadro del tavolo consortile, un’estensione della stagionalità del frutto in forma trasformata.

Da Sinistra Rita Serafini e Domenico Di Stefano

L’azienda di Di Stefano, a questo proposito, nel suo ruolo di punto logistico di riferimento di tutto l’areale insieme agli impianti dei Fratelli Gervasi, sta per investire in un ampliamento dei propri magazzini, con nuove celle di conservazione del prodotto surgelato da destinare alla trasformazione che porterebbe così questa pesca ad essere presente sul mercato durante tutto l’anno, anche se non per il solo consumo fresco.

Da destra Nella Virzì, presidente dell’azienda di famiglia Fratelli Gervasi e vicepresidente del Consorzio di Tutela con alcune parenti al lavoro sulle linee di processo

Questo modello aggregativo sta navigando velocemente verso l’obiettivo del 100% di associati anche per via di un parallelo processo in atto di espansione degli areali, stanti anche le ottime quotazioni di mercato che, al produttore, oggi si aggirano intorno all’1,40-1,50 euro al chilo (circa 3,50 euro a scaffale) contro gli scarsi 20 centesimi delle pesche percoche destinate all’industria e dei 40 e 50 centesimi di pesche e nettarine per il consumo fresco.

Una delle aree produttive

“L’espansione degli areali ha, però, due limiti: l’acqua e la manodopera”, ci spiega Di Stefano durante una visita ai campi di produzione delle varie aziende situate nel comprensorio del comuni dell’IGP, Leonforte, Assoro, Calascibetta, Enna e Agira.

“Quest’anno, a causa della siccità, la disponibilità di acqua per le colture data dalla portata della diga Nicoletti che alimenta il bacino Dittaino – Cresi, è stata ridotta da 9 a 4 milioni di metri cubi di acqua. Non esiste un problema idrico per le colture esistenti ma, salvo specifici interventi infrastrutturali, questa situazione potrebbe rappresentare un limite all’espansione degli areali che comunque è in corso”.

L’azienda Fratelli Gervasi è alla quarta generazione

In un solo anno, dal riconoscimento dell’IGP, la produzione è raddoppiata per la piantumazione di nuovi areali in quella che, fino al secolo scorso, era terra di agrumi e uliveti, e che è stata convertita, negli anni Sessanta, a questa nuova coltura grazie agli ottimi risultati riconosciuti mercato in gran parte legati al particolare processo di coltivazione che prevede la fase cosiddetta di insacchettamento.

In pratica, da giugno, quando i frutti cominciano ad apparire sui rami, i produttori, li insacchettano, letteralmente, ossia li avvolgono in carta pergamena che attaccano al picciolo con un fil di ferro di modo da eliminare completamente la necessità di trattamenti.

L’insacchettamento sta a Leonforte come la raccolta delle mele sta al Trentino. Fino a qualche decennio fa, infatti, a fine estate chiamava a raccolta il giovani studenti del circondario che venivano in massa ad arrotondare lo stipendio, avendo come alternativa l’altro sbocco professionale del tessuto economico di Leonforte, ossia l’edilizia. Con una differenza sostanziale, però, di remunerazioni. Maggiori del triplo quelle sui campi con una differenza di 50 euro a giornata da 25 euro a giornata per i muratori ai 75 per gli insacchettatori.

“Oggi – precisa Di Stefano – si fa fatica a trovare manodopera che deve essere capace di insacchettare. Questo rappresenta un’importante incidenza sul costo e ci porta ad assumere braccianti anche stranieri per il periodo della campagna per stare al passo con il processo di sviluppo”.

Se l’anno scorso la produzione a consuntivo di campagna (che inizia a settembre e si prolunga fino a novembre inoltrato) è stata di 600 tonnellate quest’anno, con l’ampliamento delle superfici, e nonostante siamo in un anno di scarica, anche a causa delle piogge di fine stagione, si stima che si possa arrivare a 1.200 tonnellate con frutti rigorosamente dal calibro extra.

Domenico Di Stefano

L’insacchettamento, inoltre, rende evidente il benefico effetto del sole di Sicilia sui frutti. Oltre a fare lievitare il grado zuccherino al di sopra della media della stragrande maggioranza delle drupacee italiane presenti sul mercato, determina sulla pelle vellutata dei pomi, gli stessi effetti dell’abbronzatura. Lo si vede dalla proiezione dei marchi stampati sui sacchetti che si riflettono poi sulla buccia, come il segno del costume sulla pelle lasciato dall’ ‘abbronzatura’.

Nella Virzì

L’insacchettamento che porta gli alberi a riempirsi di tanti pacchetti bianchi quanti sono i frutti, rappresenta da un lato un punto di forza; d’altro canto è anche una debolezza perché se piove, l’umidità nel sacchetto, è maggiore ed è in grado di produrre un danno esponenzialmente superiore alle coltivazioni tradizionali.

Se lo sfrido di questo tipo di coltivazione normalmente è molto basso e a condizioni climatiche stabili si assesta tra l’uno ed il tre percento, arriva a lievitare anche fino al trenta percento con una sola mezza giornata di pioggia.

Per la sua unicità legata alla tradizione del territorio e alla peculiare tecnica di coltivazione, la pesca IGP di Leonforte (che ha il 5% dei volumi in bio, grazie alle produzioni dell’azienda Samperi) ha ottenuto il riconoscimento nel 2010, anche grazie al sostegno di Slow Food che ne aveva fatto un suo presidio per evitare che questo patrimonio enogastronomico locale venisse disperso. Oggi viene venduta per l’80% in Italia, anche alle marche del distributore con l’ingresso tra le referenze di Fior Fiore Coop e Sapori e Dintorni di Conad. Per il 20% viene esportata prevalentemente in Germania e a Dubai e, in genere, in quei mercati che sono in grado di remunerare adeguatamente il valore aggiunto di questo prodotto. Anche sul fronte export sono, comunque, in atto progetti di sviluppo ulteriore.

Mariangela Latella

maralate@gmail.com

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