PERE “STRESSATE” DAL CALDO: IN VENETO SONO POCHE E PICCOLE. “PERDITE FINO AL 50%”

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La siccità estiva fa pagare un caro prezzo alle pere in Veneto, con una raccolta che vede una riduzione in termini produttivi e qualitativi.

Nonostante la quantità sia maggiore rispetto al 2021, quando le gelate primaverili azzerarono la produzione, le forti temperature hanno causato comunque il fenomeno della cascola e i frutti sono spesso di piccole dimensioni e perciò commercialmente di basso valore.

Francesca Aldegheri

La raccolta è iniziata in ritardo di una settimana a causa delle alte temperature, che hanno bloccato la fase di crescita delle piante e la maturazione, come in una sorta di autodifesa – spiega Francesca Aldegheri, presidente del settore frutticolo di Confagricoltura Veneto -. Le gelate dell’anno scorso hanno lasciato il segno: le piante hanno subito un forte stress e perciò il carico di frutti è inferiore al potenziale. Molti frutti non raggiungono pezzature grandi e quindi sono poco appetibili per il mercato, con la conseguenza di quotazioni insoddisfacenti. Adesso siamo verso la fine con la varietà William e siamo partiti con Abate, Conference e Falstaff. In generale si registra un continuo calo di superfici coltivate a pero: la pianta, anni fa, sembrava essere foriera di ottime performance, ma la cimice asiatica, malattie come la maculatura bruna, le gelate e gli eventi estremi hanno indotto molti agricoltori a estirpare le piante e cercare colture alternative”.

Conferma Giustiliano Bellini, tra i maggiori coltivatori di pere di Confagricoltura Rovigo, con azienda agricola a Pincara: “L’annata, come numero di frutti presenti sulla pianta, avrebbe potuto essere nella norma. Il caldo ha però causato una riduzione di peso per pianta e per ettaro. Un 15-20% di peso in meno che, in termini qualitativi, è andato a incidere in maniera pesante sulla commercializzazione, con calibri piccoli e poco appetibili per il mercato. Questo significa che, in termini di produzione reale, le perdite si aggirano tra il 40 e il 50 per cento, perché il resto è scarto, cioè frutta che l’industria compra per purea o marmellate e paga da 8 a 10 centesimi al chilo. Se si pensa che i costi di produzione sono saliti a 50 centesimi, tenendo conto degli aumenti energetici e dei costi per la difesa antiparassitaria che si aggirano su 4.000 euro a ettaro, si capisce come il piatto pianga. Peccato, perché le quotazioni per la frutta di calibro grande sono soddisfacenti: oltre un euro al chilogrammo per Abate, William e Conferenze”.

Un’annata no, dunque, che si rifletterà anche sul 2023: “L’andamento della stagione attuale condiziona le gemme nell’annata successiva – sottolinea Bellini -. E teniamo conto che già ci portiamo appresso il peso delle gelate dello scorso anno. Le prospettive, perciò, non sono per niente rosee, tant’è che molti coltivatori stanno pensando di espiantare peri. Io stesso ridurrò il numero di piante perché troppi sono i problemi: oltre alla Maculatura bruna, quest’anno a dire il vero meno presente grazie alla siccità, e alla cimice asiatica, c’è anche il problema della mancanza di manodopera specializzata. Forse è finito un ciclo per la pera, sulla quale in Veneto avevamo riposto molte speranze, come in Emilia Romagna: paghiamo sicuramente i cambiamenti climatici, ma anche una carenza di ricerca, perché ci sono agricoltori che hanno ancora specie varietali di cinquant’anni fa, che non sono più idonee per le condizioni odierne”.

In Veneto, secondo i dati di Veneto Agricoltura, la superficie nel 2021 è scesa a 2.365 ettari (-7,6%), con l’81% di impianti collocati tra le province di Verona (1.185 ettari, -4,9%) e Rovigo (725 ettari, -9,3%). In calo anche le superfici nel Padovano (326 ettari, -7,1%) e nel Veneziano (102 ettari, -13,5%).

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