PERE, COME PER LE FIERE LA SFIDA TRA DUE MAXI POLI

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Un’eruzione, come per le fiere. Che erano una, poi due poi tre, per tornare alla fine a due. Così per la pera. Una regina della nostra frutta, con una varietà – la Abate – giudicata una eccellenza assoluta che abbiamo solo noi e prodotta in un territorio limitato (Bologna-Modena-Ferrara).

Una primadonna che dava anche reddito però su cui non si era mai investito seriamente in termini di aggregazione commerciale, marchio e marketing. Poi i nodi sono venuti al pettine e la primadonna si è ritrovata coi panni di Cenerentola e i produttori coi bilanci sempre più in rosso. Così due anni fa è nata PeraItalia, consorzio misto privato-cooperativo da 1 milione di quintali con l’obiettivo di rifare l’immagine della pera italiana di qualità, di promuoverne i consumi, di aggredire i mercati esteri con marchio, massa critica e packaging innovativo.

Adesso, con obiettivi simili ma con una massa critica che è quasi il doppio, arriva la newco Per.A. (Pericoltori aggregati) con 22 soci tra cui primeggiano le corazzate di Confcooperative (Agrintesa, Apo Conerpo, Fruit Modena Group) e che ha richiamato all’ovile alcune realtà che stavano in PeraItalia (Naturitalia, Patfrut, Orogel Fresco, Opera). A fare l’impresa è stato chiamato uno dei manager più grintosi e titolati della frutta italiana, quel Luca Granata ansioso di dimostrare che il modello Melinda non funziona solo per le mele della Val di Non.

PeraItalia, colpita dal siluro della newco, affonda? Per niente. Alcuni ex soci del consorzio presieduto da Luciano Torreggiani (Salvi, Pempacorer/Terremerse, Spreafico) insieme a un altro grande privato (Mazzoni) che finora era stato fuori da tutti i giochi, e alla new entry Apofruit si mettono attorno a un tavolo e si chiamano fuori da Per.A. con valutazioni pungenti: “manca un chiaro progetto industriale e di marketing…troppe criticità su punti fondamentali che devono essere chiariti per consentire l’ingresso della più ampia platea di aderenti”.

Quindi, pare di capire, PeraItalia va avanti e si profilano due grandi poli della pera italiana di qualità: a grandi linee, uno a forte impronta cooperativa e uno a maggioranza privata. Anche qui, come per le fiere, la situazione resta però fluida, in movimento. Luca Granata insiste coi suoi collaboratori che la newco Per.A. è “un progetto inclusivo, e non esclusivo, generoso e di ampie vedute, nato per unire e non per dividere, e pertanto è e resterà sempre aperto a tutti i frutticoltori ed a tutti gli operatori attivi a qualsiasi titolo ed in qualsiasi ambito della filiera della pera”. Che è un progetto, insiste il manager rodigino, su cui non c’è il timbro di nessuna organizzazione e che, nello spirito della più ampia aggregazione, “siamo aperti al dialogo con tutti, a partire dagli amici di PeraItalia”.

Questo lo stato dell’arte, in attesa di nuovi sviluppi. Come per le fiere, la competizione fa bene e mai si era parlato tanto di pere come adesso, con processi aggregativi di grande respiro finalmente in moto. C’è chi fa due conti e scopre che Per.A. più PeraItalia metterebbe assieme quasi il 75-80% delle nostre Abate aprendo scenari davvero innovativi. Ma l’ipotesi per ora è solo futuribile. Stiamo a quello che c’è.

In meno di un mese Granata ha messo assieme uno squadrone pronto per la Champions League ma che deve dimostrare sul campo il suo valore e di sapere (e volere) giocare con spirito di squadra. In panchina Granata sarà un uomo solo al comando, come lo era in Melinda. E questo in fin dei conti è un bene. Le sue qualità manageriali e organizzative non si discutono, ed è per quelle che è stato preso. Dovrà forse guardarsi dai tanti consiglieri/suggeritori che dopo aver fomentato per tanti anni divisioni e rivalità – a scapito del prodotto pera – adesso vestono i panni degli aggregatori e dei pacificatori.

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

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