Nonostante l’aumento dei costi di produzione e la diminuzione del potere di acquisto delle famiglie europee, il settore ortofrutticolo italiano continua a mostrare una robusta performance sui mercati internazionali. Lo dimostrano i dati Istat relativi al 2023, che registrano un aumento del 9,1 per cento nelle esportazioni italiane di frutta e verdura fresca rispetto all’anno precedente – una crescita ancor più significativa se si considerano anche le conserve. È tuttavia essenziale esplorare i margini di miglioramento a livello europeo.
In questo momento, a preoccupare non è solo l’inflazione, che può spingere alcuni clienti a rifornirsi su mercati che mantengono prezzi più competitivi. Anche le crisi internazionali minacciano di perturbare la competitività della produzione italiana ed europea. In tal senso, i disordini nel Mar Rosso, dovuti all’offensiva degli Houthi, stanno facendo precipitare le nostre esportazioni in Asia e determinano un aumento esorbitante dei costi di trasporto, i quali incidono in modo significativo sul prezzo finale dei prodotti ortofrutticoli.
Di fronte a questa situazione, è importante fare di più per preservare la stabilità del mercato europeo. Vorrei partire da una considerazione generale: l’ortofrutta è il settore agricolo che soffre di più le conseguenze del cambiamento climatico. Il riscaldamento globale, infatti, può comportare non solo una riduzione della produzione, ma anche e soprattutto un aumento del rischio per chi fa agricoltura nel settore ortofrutticolo, che è particolarmente esposto a minacce come le gelate primaverili o la grandine. Di questo, il Parlamento europeo che uscirà dalle elezioni di giugno dovrà tenerne conto nell’elaborazione della prossima riforma della politica agricola comune (PAC).
Serve dunque una particolare attenzione al settore ortofrutticolo per quanto riguarda le politiche di gestione del rischio. Ovviamente, questo vale sia per la lotta passiva, incentrata sulle polizze assicurative, sia per quella attiva, ad esempio per quanto riguarda gli investimenti in impianti d’irrigazione, sistemi di copertura antigrandine e piante più resistenti. Su quest’ultimo punto, è fondamentale promuovere varietà di piante più forti, meno bisognose d’acqua e, in generale, capaci di affrontare i cambiamenti climatici. Abbiamo posto le basi per questi progressi sul finire della scorsa legislatura, approvando un nuovo regolamento che rende più semplice lo sviluppo di tecniche d’evoluzione assistita (TEA).
Dobbiamo poi tutelare la qualità dei nostri prodotti, con una duplice azione, sulle esportazioni e sulle importazioni. Per quanto riguarda l’export, la riconoscibilità e l’eccellenza della nostra produzione agricola sono la chiave di volta per affrontale le sfide sui mercati internazionali. A questo proposito, la recente riforma del Parlamento europeo sulle Dop e Igp aumenta le garanzie riservate alle denominazioni protette, rafforza il ruolo dei consorzi e la trasparenza verso i consumatori. In particolare, viene introdotto l’obbligo d’indicare sull’etichetta di qualsiasi Dop e Igp il nome del produttore. Inoltre, sono eliminate una volta per tutte quelle falle del sistema che consentono di sfruttare indebitamente la reputazione delle nostre indicazioni geografiche. Lo scopo è anche di scongiurare il disastroso fenomeno dell’Italian sounding.
Sul piano delle importazioni, l’obiettivo deve essere continuare a lavorare per promuovere scambi internazionali non solo liberi, ma anche equi. L’Europa possiede gli standard alimentari, ambientali, sociali e sanitari più alti al mondo. Di fronte a un’evoluzione del commercio internazionale che segue sempre meno le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, va fatto ancora di più per garantire il principio di reciprocità. Le regole che vengono imposte alle nostre imprese agricole devono essere le stesse che vengono applicate ai prodotti provenienti dai Paesi fuori dall’Unione europea. Gli accordi internazionali di nuova generazione, con Canada, Vietnam e Giappone sono stati siglati proprio in quest’ottica e infatti funzionano bene.
In ogni caso, rifugiarsi in una postura di chiusura non può essere la soluzione. Abbiamo molti prodotti di eccellenza che piacciono in tutto il mondo e le cui vendite potrebbero essere danneggiate da una svolta in chiave protezionista. Dobbiamo insistere affinché le nuove intese siano eque. Da questo punto di vista, sia i negoziati col Mercosur sia quelli con gli Stati Uniti sono, in maniera diversa, su un binario morto. Al contrario, le prospettive sono decisamente più buone riguardo al dialogo con l’India, con l’Australia e soprattutto con la Nuova Zelanda, con la quale siamo ormai ai dettagli finali del nuovo trattato.
Infine, va affrontata la sfida dei consumi interni, che stanno diminuendo a un ritmo preoccupante. Nel 2019, le famiglie italiane acquistavano in media 240 chili di prodotti ortofrutticoli, ma nel 2023 questo numero è sceso a 203 chili. I nostri concittadini mangiano meno frutta e verdura, con un consumo medio inferiore ai 400 grammi giornalieri raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per una dieta sana. Questo calo dovrà essere in cima alle preoccupazioni del prossimo Parlamento europeo. Urge una grande strategia per rilanciare i consumi interni: è una partita cruciale, per migliorare la salute pubblica in Europa e per rafforzare il nostro settore ortofrutticolo.
Herbert Dorfmann
europarlamentare
ORTOFRUTTA, LE PRIORITÀ PER L’UE. LA VIA EUROPEA PER CRESCERE
Nonostante l’aumento dei costi di produzione e la diminuzione del potere di acquisto delle famiglie europee, il settore ortofrutticolo italiano continua a mostrare una robusta performance sui mercati internazionali. Lo dimostrano i dati Istat relativi al 2023, che registrano un aumento del 9,1 per cento nelle esportazioni italiane di frutta e verdura fresca rispetto all’anno precedente – una crescita ancor più significativa se si considerano anche le conserve. È tuttavia essenziale esplorare i margini di miglioramento a livello europeo.
In questo momento, a preoccupare non è solo l’inflazione, che può spingere alcuni clienti a rifornirsi su mercati che mantengono prezzi più competitivi. Anche le crisi internazionali minacciano di perturbare la competitività della produzione italiana ed europea. In tal senso, i disordini nel Mar Rosso, dovuti all’offensiva degli Houthi, stanno facendo precipitare le nostre esportazioni in Asia e determinano un aumento esorbitante dei costi di trasporto, i quali incidono in modo significativo sul prezzo finale dei prodotti ortofrutticoli.
Di fronte a questa situazione, è importante fare di più per preservare la stabilità del mercato europeo. Vorrei partire da una considerazione generale: l’ortofrutta è il settore agricolo che soffre di più le conseguenze del cambiamento climatico. Il riscaldamento globale, infatti, può comportare non solo una riduzione della produzione, ma anche e soprattutto un aumento del rischio per chi fa agricoltura nel settore ortofrutticolo, che è particolarmente esposto a minacce come le gelate primaverili o la grandine. Di questo, il Parlamento europeo che uscirà dalle elezioni di giugno dovrà tenerne conto nell’elaborazione della prossima riforma della politica agricola comune (PAC).
Serve dunque una particolare attenzione al settore ortofrutticolo per quanto riguarda le politiche di gestione del rischio. Ovviamente, questo vale sia per la lotta passiva, incentrata sulle polizze assicurative, sia per quella attiva, ad esempio per quanto riguarda gli investimenti in impianti d’irrigazione, sistemi di copertura antigrandine e piante più resistenti. Su quest’ultimo punto, è fondamentale promuovere varietà di piante più forti, meno bisognose d’acqua e, in generale, capaci di affrontare i cambiamenti climatici. Abbiamo posto le basi per questi progressi sul finire della scorsa legislatura, approvando un nuovo regolamento che rende più semplice lo sviluppo di tecniche d’evoluzione assistita (TEA).
Dobbiamo poi tutelare la qualità dei nostri prodotti, con una duplice azione, sulle esportazioni e sulle importazioni. Per quanto riguarda l’export, la riconoscibilità e l’eccellenza della nostra produzione agricola sono la chiave di volta per affrontale le sfide sui mercati internazionali. A questo proposito, la recente riforma del Parlamento europeo sulle Dop e Igp aumenta le garanzie riservate alle denominazioni protette, rafforza il ruolo dei consorzi e la trasparenza verso i consumatori. In particolare, viene introdotto l’obbligo d’indicare sull’etichetta di qualsiasi Dop e Igp il nome del produttore. Inoltre, sono eliminate una volta per tutte quelle falle del sistema che consentono di sfruttare indebitamente la reputazione delle nostre indicazioni geografiche. Lo scopo è anche di scongiurare il disastroso fenomeno dell’Italian sounding.
Sul piano delle importazioni, l’obiettivo deve essere continuare a lavorare per promuovere scambi internazionali non solo liberi, ma anche equi. L’Europa possiede gli standard alimentari, ambientali, sociali e sanitari più alti al mondo. Di fronte a un’evoluzione del commercio internazionale che segue sempre meno le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, va fatto ancora di più per garantire il principio di reciprocità. Le regole che vengono imposte alle nostre imprese agricole devono essere le stesse che vengono applicate ai prodotti provenienti dai Paesi fuori dall’Unione europea. Gli accordi internazionali di nuova generazione, con Canada, Vietnam e Giappone sono stati siglati proprio in quest’ottica e infatti funzionano bene.
In ogni caso, rifugiarsi in una postura di chiusura non può essere la soluzione. Abbiamo molti prodotti di eccellenza che piacciono in tutto il mondo e le cui vendite potrebbero essere danneggiate da una svolta in chiave protezionista. Dobbiamo insistere affinché le nuove intese siano eque. Da questo punto di vista, sia i negoziati col Mercosur sia quelli con gli Stati Uniti sono, in maniera diversa, su un binario morto. Al contrario, le prospettive sono decisamente più buone riguardo al dialogo con l’India, con l’Australia e soprattutto con la Nuova Zelanda, con la quale siamo ormai ai dettagli finali del nuovo trattato.
Infine, va affrontata la sfida dei consumi interni, che stanno diminuendo a un ritmo preoccupante. Nel 2019, le famiglie italiane acquistavano in media 240 chili di prodotti ortofrutticoli, ma nel 2023 questo numero è sceso a 203 chili. I nostri concittadini mangiano meno frutta e verdura, con un consumo medio inferiore ai 400 grammi giornalieri raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per una dieta sana. Questo calo dovrà essere in cima alle preoccupazioni del prossimo Parlamento europeo. Urge una grande strategia per rilanciare i consumi interni: è una partita cruciale, per migliorare la salute pubblica in Europa e per rafforzare il nostro settore ortofrutticolo.
Herbert Dorfmann
europarlamentare
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