I dati sconvolgenti sulla disoccupazione in Italia, in particolare quella giovanile (verso il 50%), inducono a qualche riflessione di buon senso, senza presunzioni accademiche. Partiamo da un dato di fatto: l’agricoltura vera e propria rappresenta una parte minoritaria della ricchezza nazionale, checché se ne dica.
Il valore della produzione agricola è pari al 3% del Pil italiano, l’occupazione ‘ufficiale’ (attorno a 1,3 milioni di addetti) è pari al 5% delle unità di lavoro totali. Ovviamente i valori salgono se si considera il settore agroalimentare ‘allargato’ all’industria, alla ristorazione, e forse anche alla Gdo (i prezzi dei prodotti sugli scaffali): solo così si raggiunge quel 17% che viene sbandierato anche autorevolmente, ma senza specificare cosa esattamente rappresenti e cosa contenga.
Comunque sia, le organizzazioni agricole (sempre prodighe di comunicato su tutto) non perdono occasione per ricordarci che l’agricoltura è l’unico settore che in questi anni di disastri economici ha mantenuto l’occupazione (te lo credo, difficile andare sotto quel 5%) sviluppando anche nuove opportunità.
Ovviamente ognuno tira l’acqua al proprio mulino: e quindi la Coldiretti sottolinea a ogni piè sospinto che il merito di questa tenuta – e di possibili futuri incrementi – stanno nella filosofia del km zero e della filiera corta. Cia e Confagricoltura preferiscono puntare sui tanti ostacoli (costi, oneri, burocrazia) che oggi limitano la competitività delle imprese.
Resta un dato di fatto: nei documenti programmatici il premier Renzi ha scritto di volere puntare sull’agricoltura “quale settore strategico per creare nuova occupazione”. Bene, prendiamolo sul serio. Quale settore agricolo occupa più manodopera della ortofrutta, dove tantissime lavorazioni possono essere fatte solo a mano? Quale comparto – con un interscambio export/import ogni anno attorno ai 6-8 miliardi di euro – contribuisce di più a garantire tenuta sociale ed economica a zone del Paese (soprattutto al Sud) dove non ci sarebbero altre risorse? Quale altre comparto del made in Italy rappresenta una produzione nazionale nella quale si fondono fattori strategici (e oggi tornati di gran moda) come territorio, ambiente, sapienza produttiva artigianale e know how industriale, storia, cultura, tradizioni , innovazione, quote rosa …?
Ebbene questo settore macina decine di convegni inutili e dispendiosi ma nessuno mai che ci racconti i numeri, le statistiche dell’ortofrutta: dati certi sull’occupazione nei vari territori, rapporto tra occupazione e aggregazione dell’offerta, incidenza della Plv ortofrutticola nelle varie regioni d’Italia, possibilità di sviluppo occupazionale in relazione a particolari progetti innovativi. Bisogna dare fondamenta certe, con numeri e cifre, all’immagine dell’ortofrutta presso la pubblica opinione di cui quasi nessuno si occupa. L’informazione, la comunicazione ha bisogno di numeri. Tutti li danno, spesso a casaccio, l’ortofrutta si astiene. Un’altra occasione perduta.
Lorenzo Frassoldati
direttore del Corriere Ortofrutticolo
lorenzo.frassoldati@corriere.ducawebdesign.it
OCCUPAZIONE, L’ORTOFRUTTA NON DÀ I NUMERI
I dati sconvolgenti sulla disoccupazione in Italia, in particolare quella giovanile (verso il 50%), inducono a qualche riflessione di buon senso, senza presunzioni accademiche. Partiamo da un dato di fatto: l’agricoltura vera e propria rappresenta una parte minoritaria della ricchezza nazionale, checché se ne dica.
Il valore della produzione agricola è pari al 3% del Pil italiano, l’occupazione ‘ufficiale’ (attorno a 1,3 milioni di addetti) è pari al 5% delle unità di lavoro totali. Ovviamente i valori salgono se si considera il settore agroalimentare ‘allargato’ all’industria, alla ristorazione, e forse anche alla Gdo (i prezzi dei prodotti sugli scaffali): solo così si raggiunge quel 17% che viene sbandierato anche autorevolmente, ma senza specificare cosa esattamente rappresenti e cosa contenga.
Comunque sia, le organizzazioni agricole (sempre prodighe di comunicato su tutto) non perdono occasione per ricordarci che l’agricoltura è l’unico settore che in questi anni di disastri economici ha mantenuto l’occupazione (te lo credo, difficile andare sotto quel 5%) sviluppando anche nuove opportunità.
Ovviamente ognuno tira l’acqua al proprio mulino: e quindi la Coldiretti sottolinea a ogni piè sospinto che il merito di questa tenuta – e di possibili futuri incrementi – stanno nella filosofia del km zero e della filiera corta. Cia e Confagricoltura preferiscono puntare sui tanti ostacoli (costi, oneri, burocrazia) che oggi limitano la competitività delle imprese.
Resta un dato di fatto: nei documenti programmatici il premier Renzi ha scritto di volere puntare sull’agricoltura “quale settore strategico per creare nuova occupazione”. Bene, prendiamolo sul serio. Quale settore agricolo occupa più manodopera della ortofrutta, dove tantissime lavorazioni possono essere fatte solo a mano? Quale comparto – con un interscambio export/import ogni anno attorno ai 6-8 miliardi di euro – contribuisce di più a garantire tenuta sociale ed economica a zone del Paese (soprattutto al Sud) dove non ci sarebbero altre risorse? Quale altre comparto del made in Italy rappresenta una produzione nazionale nella quale si fondono fattori strategici (e oggi tornati di gran moda) come territorio, ambiente, sapienza produttiva artigianale e know how industriale, storia, cultura, tradizioni , innovazione, quote rosa …?
Ebbene questo settore macina decine di convegni inutili e dispendiosi ma nessuno mai che ci racconti i numeri, le statistiche dell’ortofrutta: dati certi sull’occupazione nei vari territori, rapporto tra occupazione e aggregazione dell’offerta, incidenza della Plv ortofrutticola nelle varie regioni d’Italia, possibilità di sviluppo occupazionale in relazione a particolari progetti innovativi. Bisogna dare fondamenta certe, con numeri e cifre, all’immagine dell’ortofrutta presso la pubblica opinione di cui quasi nessuno si occupa. L’informazione, la comunicazione ha bisogno di numeri. Tutti li danno, spesso a casaccio, l’ortofrutta si astiene. Un’altra occasione perduta.
Lorenzo Frassoldati
direttore del Corriere Ortofrutticolo
lorenzo.frassoldati@corriere.ducawebdesign.it
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