I NODI DEL POMODORO DA INDUSTRIA TRA COSTI E PREZZI, MARGINI AI MINIMI

Condividi

“Dopo due anni di campagne positive per il pomodoro da industria italiano, oggi l’incremento della marginalità ottenuta, rischia di essere assorbito dall’aumento dei costi delle materie prime. Un aumento che, peraltro, sarà inevitabilmente aggravato ulteriormente a causa della questione Ucraina precipitata con le azioni militari russe di questa notte”.

Così Giovanni De Angelis, direttore generale di ANICAV, affronta, senza girarci intorno, uno dei temi portanti del webinar ‘ Pomodoro da industria: sfide, scenari, strategie’, tenutosi questa mattina e organizzato da Agribusiness24.
Giovanni De Angelis

Un tema fondamentale per l’agroeconomia italiana dal momento che il pomodoro da industria rappresenta un settore che negli ultimi due anni si è assestato a 3,7 miliardi di fatturato di cui quasi due (1,9 miliardi, fino all’anno scorso in crescita, ora in leggera flessione) generati dall’export. Di più, un problema tanto più sentito posto che stiamo parlando di una filiera che è energivora per definizione e che si basa su molte delle materie prime oggi nell’occhio del ciclone come vetro, acciaio, alluminio o bande stagnate.

Il pomodoro da industria made in Italy rappresenta il 15,6% della produzione mondiale e con una produzione netta di circa 6 milioni di tonnellate, ha surclassato la Cina nel ranking mondiale, collocandosi al secondo posto tra i produttori globali, dopo gli USA.
“Un’altro tema fondamentale da affrontare ha detto De Angelis – è quello della tracciabilità, anche per eliminare alla radice il dubbio, derivato dalla scarsa conoscenza del consumatore e soprattutto dei giovani tra i 18 e i 25 anni, ingenerato a monte sui processi mediatici all’autenticità dell’origine italiana del prodotto che, ancora mi chiedo, non si capisce a chi sono giovati. Per questo siamo in attesa, dopo averla richiesta al Mipaaf, di una riunione tecnica con ICQRF (antofrodi) in cui presenteremo uno studio che stiamo conducendo con la Stazione sperimentale conserve di Parma e che punta ad una certificazione di origine territoriale basata sull’analisi di macro e microelementi per accertare non solo l’italianità del prodotto ma anche, addirittura, la provincia di provenienza. Naturalmente c’è anche esigenza di una disciplina europea che vada a dettagliare quanto già disposto dal Regolamento UE 1169”.
Lorenzo Bazzana
Sul tema prezzi e dell’incremento abnorme delle materie prime, tutti i player coinvolti nel meeting online, sono stati concordi sulla necessità di trovarsi davanti ad un tavolo per parlarne. Un tavolo che per ANICAV è quello delle Interprofessioni Nord e Sud del pomodoro da industria mentre per Coldiretti, rappresentata da Lorenzo Bazzana, responsabile economico, potrebbe anche essere un tavolo di filiera.
“L’importante – ha detto Bazzana – è trovare un minimo comune denominatore affinché la filiera del pomodoro da industria non venga uccisa o, peggio, una parte affondi e un’altra resti in piedi. Perché è chiaro che non riconoscere il giusto prezzo ai produttori, stante l’attuale situazione di mercato, significa che andranno avanti quelle aziende che non rispettano le regole. La cosa più difficile adesso è trovare un equilibrio tra agricoltura, distribuzione e consumatore”.
Tra i rischi di una mancata quadra dei conti, c’è quello di un aumento delle importazioni, soprattutto di pomodoro concentrato, che oggi, sul mercato italiano, rappresenta l’1% dei consumi, ma la percentuale sale quando lo si considera come ingrediente di altri preparati. Ad onor di cronaca, la passata ha una quota del 60% dei consumi e i pomodorini ciliegini pelati del 4%. Nel mezzo c’è tutto il mondo delle polpe e dei pelati.
Diodato Ferrioli
Sull’importanza di ragionare in un’ottica di filiera è intervenuto anche Diodato Ferrioli, head of export sales di La Doria. “Bisogna sedersi intorno ad un tavolo – ha detto – che è quello interprofessionale, soprattutto per il Sud e per la relativa filiera del pomodoro da industria. In questo senso il ragionamento non può prescindere da un’ottica di competitività globale. Per fare un esempio: se l’anno scorso la Spagna ha chiuso i contratti a 78 centesimi (più di venti sotto le quotazioni italiane), quest’anno hanno già chiuso a 102 soprattutto per i problemi stimati sulla riduzione dei volumi a causa della siccità”.
In Italia, non sono ancora stati chiusi contratti con la conseguenza che i produttori stanno iniziando a piantare senza avere neanche un’indicazione in termini di programmazione.
Mariangela Latella  

Sfoglia ora l'Annuario 2024 di Protagonisti dell'ortofrutta italiana

Sfoglia ora l'ultimo numero della rivista!

Join us for

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER QUOTIDIANA PER ESSERE AGGIORNATO OGNI GIORNO SULLE NOTIZIE DI SETTORE