MINISTRO SAVERIO ROMANO: IL GIP CHIEDE L’IMPUTAZIONE PER MAFIA

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Sarà il processo a dover stabilire se il ministro alle Politiche Agricole Saverio Romano, oltre a essere contiguo alla mafia, abbia concretamente aiutato Cosa Nostra: condizione indispensabile per configurare il reato di concorso in associazione mafiosa. Lo ha deciso il gip di Palermo Giuliano Castiglia, rigettando la richiesta di archiviazione dell’inchiesta fatta dai pm di Palermo.

 

Certi questi di poter provare la sua «vicinanza e disponibilità» verso la mafia, ma di avere pochi elementi per dimostrare che il ministro abbia dato un apporto concreto, rilevante e specifico all’organizzazione: elementi che la giurisprudenza esige per provare il reato di concorso.

 

Il punto di partenza dunque è lo stesso della Procura: il ministro Romano sarebbe stato contiguo e disponibile verso Cosa nostra. Ma il gip supera le valutazioni dei pm e insinua il dubbio che ci fu di più: cioè che l’esponente del governo abbia dato un concreto, rilevante e specifico contributo ai clan. Per il magistrato, che ha motivato con oltre 100 pagine la sua ordinanza, gli elementi a sostenere l’accusa in giudizio ci sono.

 

Ma quali sono i fatti che hanno convinto il giudice? Il primo risale al 1991, quando Romano partecipò a un incontro con Cuffaro e Angelo Siino finalizzato al sostegno elettorale dell’ex governatore siciliano. Per la Procura – giudizio condiviso dal gip – il ministro era a conoscenza della "caratura" criminale di Siino, definito all’epoca come il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra. Poi c’è il pranzo, citato sempre dai pm, organizzato a marzo del 2001 a Roma con Francesco Campanella, ex presidente del Consiglio comunale di Villabate, vicino alla cosca del Mandalà.

 

"Ormai è evidente che Saverio Romano rientra tra quella categoria di politici che, avendo una certa visibilità e occupando un posto nell’attuale governo, devono essere processati per forza, nonostante la Procura di Palermo, abbia richiesto già per due volte l’archiviazione dei fascicoli a suo carico": lo affermano Arturo Iannaccone, Segretario Nazionale di Noi Sud e i deputati Elio Belcastro e Americo Porfidia, parlamentari di Popolo e Territorio. Per Pd, Idv e Futuro e Libertà, invece, Romano deve dimettersi da ministro.

  

"Questo procedimento – ha commentato Romano – mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l’indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007. Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni". Lo riporta il Corriere della Sera.

 

"Il fallimento del sistema giudiziario – prosegue – vive nella interminabile condizione che si riserva al cittadino Saverio Romano in un periodo di tempo che nella sua enorme dimensione rappresenta già una sanzione insopportabile anche se l’epilogo sarà quello da me auspicato". Per Romano "sarebbe di contro parimenti fallimentare un sistema della giustizia che ha lasciato operare per così tanto tempo un uomo politico che potrebbe aver commesso l’infamante reato di concorso con Cosa Nostra. Purtroppo ormai da quasi 20 anni il nostro Paese assiste ad uno spettacolare conflitto che in questi ultimi mesi all’approssimarsi della riforma giudiziaria si è acuito".

 

"Sono addolorato e sconcertato – conclude – con questo provvedimento non viene chiesta solo la formulazione dell’imputazione per il sottoscritto ma vengono messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo. Difenderò in ogni sede il mio nome, per me, per i miei familiari e per la comunità politica che rappresento".

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