MINISTERO, ANNO ZERO. ORA IL TAVOLO NAZIONALE NON RESTI AD AMMUFFIRE

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Chi è l’attuale ministro dell’Agricoltura? Si chiama Paolo Gentiloni, si occupa (si fa per dire) solo degli affari correnti. In pratica garantisce che il Ministero resti aperto, o poco più. Dell’eredità di Martina abbiamo detto: non lo rimpiangeremo, per l’ortofrutta ha fatto veramente poco. Però attenzione: viste le esperienze passate, non c’è limite al peggio (vedremo poi perché). Con l’uscita di Martina al ministero di via XX settembre è suonata la campanella della ricreazione: chi può se ne va, come Luca Bianchi, capo del Dipartimento delle politiche competitive e della qualità agroalimentare che è andato a fare il direttore generale dello Svimez. Il resto, immobilismo. Attesa del nuovo governo, dei nuovi equilibri. Sarà un governo populista, avremo un ministro populista? O un ministro tecnico in un governo che porti a nuove elezioni? Tutto è possibile. Il mondo del vino si è già mobilitato perché Martina si è dimenticato di firmare un atto importante come la nomina del nuovo Comitato nazionale Vini, cioè ente che governa le denominazioni. Sarà il caso che anche il mondo dell’ortofrutta dia presto un segnale perché il Tavolo nazionale non resti lì a coprirsi di polvere. I problemi sono tutti lì, la stagione estiva è alle porte. Ci dobbiamo affidare come al solito al “speriamo che me la cavo”?

Giustamente Davide Vernocchi, a nome dell’Alleanza cooperative, ha alzato la voce. Per non ripiombare nel disastro del 2017 – sostiene Vernocchi – dobbiamo puntare a quote produttive per i pescheti europei; la Spagna ha spaccato il mercato l’anno scorso con la sua iperproduzione di pesche piatte, fuori da ogni controllo. Adesso il ministero spagnolo ha varato un piano straordinario di aiuti per la frutta estiva dove però non c’è traccia di estirpazione dei pescheti, misura richiesta a gran voce dal mondo produttivo. Quindi? Bisogna portare il problema a Bruxelles, anche in sede Areflh, anche in sede di Europarlamento. L’epoca delle quote produttive in Europa è tramontata, però qualcosa si dovrà pur fare. Del tema si parlerà certamente anche alla prossima assemblea di Fruitimprese: il nostro export è reduce dal record 2017 (quasi 5 miliardi di euro) ottenuto in condizioni proibitive. Come si annuncia il 2018? Potremo consolidare questi risultati? Su quali mercati dobbiamo puntare?

Servirebbe un ministro con cui dialogare… A questo proposito stiamo attenti. Nei programmi elettorali dei partiti che hanno vinto le elezioni di agricoltura si parla poco e in termini vaghi e riduttivi. Il tema dominante è la difesa del made in Italy, la “salvaguardia della qualità dei prodotti italiani minacciati dai trattati internazionali” (programma 5Stelle), se non la richiesta di dazi e misure doganali contro le importazioni (Lega). Per il resto, silenzio. La complessità dei problemi della nostra agricoltura ridotta a slogan, titoli di giornale che diventano programma elettorale e di possibile governo. Tutto questo mentre in Europa si parla di cose serie, la Pac post 2020, quanti soldi ci saranno, quanti soldi perderà la nostra agricoltura, quanti soldi perderà il nostro Sud a favore di altri Paesi. Ma noi al momento non ci siamo, nessun ministro a presidiare questi tavoli strategici per il nostro futuro. Solo qualche europarlamentare di buona volontà come De Castro, La Via, Dorfmann, tengono d’occhio la situazione, facendo quello che possono. Tira aria di populismo, che fa rima con protezionismo. Tutti vogliamo proteggere la qualità del made in Italy, ma vogliamo anche esportarla.

“L’agricoltura proviene da almeno un triennio di prezzi bassi, di redditi compressi, di disorganizzazione della politica e di carenza tragica di strategie. Il tutto coperto di lustrini e belletto, come un tempo usava per i nobili decaduti, forniti dai mezzi di comunicazione sui successi dell’alimentare italiano. È la tragica eredità dell’Expo 2015 che emerge dagli abissi di un autocompiacimento che non corrisponde alla realtà dell’agricoltura”, ha scritto il prof. Dario Casati sul Notiziario dei Georgofili. L’agricoltura italiana è molto diversa da come viene raccontata “con stolta baldanza”. “Il contributo al Prodotto interno lordo da oltre un decennio è fermo e comunque sotto al 2%; l’occupazione, come è logico che sia in un’economia sviluppata, è in costante leggero calo tendenziale; l’export in crescita è quello dei prodotti alimentari, e non quello dei prodotti agricoli di base. La verità è che il Paese, anche nell’aggregato agricolo alimentare, si rivela grande e abile trasformatore. Ma spesso dimentica che ciò che esportiamo in realtà si regge sul contributo delle materie prime impor ate e lavorate da noi con sapienza e ingegno”, scrive Casati.

Premesso che l’attenzione della politica all’agricoltura si limita a qualche titolo di giornale, a copiare slogan dalle campagne mediatiche in corso, ricordiamoci che di “protezionismo si muore” come ho già scritto in varie occasioni. Senza un sostegno reale all’export, senza un reale ascolto delle imprese che tutti i giorni lavorano sui mercati esteri, se corriamo dietro alle bufale raccontate da chi invoca “più controlli all’import” e pensa invece a dazi e barriere; se la sbornia no-global ci fa bocciare qualunque trattato internazionale di libero scambio, inutile poi lamentarsi se il resto del mondo alzerà ( o consoliderà) le barriere verso i nostri prodotti. E allora tutte le nostre eccellenze, tutta la nostra qualità ce la dovremo consumare noi. Auguri…

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

l.frassoldati@alice.it

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