Giancarlo Minguzzi (nella foto), presidente di Fruitimprese Emilia Romagna e numero 1 della omonima OP di Alfonsine (RA) interviene sulla presenza dell’Italia a Madrid Fruit Attraction e sulle differenze fra i due Paesi circa il futuro della frutticoltura.
“Non voglio aggiungere nulla a ciò che hanno già commentato diversi professionisti del nostro settore in particolare il nostro presidente Marco Salvi – dice Minguzzi -. Mi associo in particolare a ciò che ha detto Marco sulla presenza positiva del nostro ministro Lollobrigida che ha incontrato e ascoltato le imprese e i loro problemi. La presenza di visitatori poi pressoché doppia nei confronti di Berlino per il secondo anno consecutivo fa di Madrid la fiera ortofrutticola più importante in Europa. La sua supremazia è frutto non solamente della sua posizione baricentrica fra Europa, America, Africa e Asia, e non solo perché si svolge in una città fantastica come Madrid. La ragione più importante dell’ascesa esponenziale dell’importanza di questa fiera è stata, fin da quando è nata, perché si basa su una cultura nazionale (spagnola) che sostiene e fa crescere la sua frutticoltura in modo costruttivo. Per farla breve, i prodotti fitosanitari che si possono utilizzare in Spagna (ma non solo) permettono molte più deroghe rispetto a ciò che può invece utilizzare un frutticoltore italiano. Con la beffa che i prodotti dei Paesi che hanno molte più deroghe di noi arrivano direttamente e senza problemi sul nostro mercato. Se non si ritorna anche in Italia all’utilizzo di prodotti utili, che comunque non sono, come qualcuno definisce, “velenosi”, diventeremo un Paese esclusivamente importatore. Sarebbe una debàcle diretta e indiretta. Diretta poiché perderemmo gran parte della nostra agricoltura; indiretta poiché c’è un indotto importante, a monte a valle della nostra frutticoltura”.
“Invitiamo nei nostri frutteti e nelle nostre strutture coloro che pensano si possa produrre esclusivamente in bio, che rappresenta l’8% della nostra frutticoltura. Sono aziende agricole che mediamente non durano più di 10 anni, poiché devono poi vendere l’azienda agricola o ritornare al convenzionale poiché nella coltura del biologico si produce mediamente il 50% in meno di prima qualità, con un prezzo che mediamente è soltanto il 20% superiore al convenzionale. É urgente il ritorno a prodotti utili per salvare e dare un futuro alla nostra frutticoltura”, conclude Minguzzi.