“L’ORTOFRUTTA COSTERÀ PIÙ DELLA CARNE”. MA PER IL FRUTTIVENDOLO GOURMET “C’È POCA ATTENZIONE PER LA QUALITÀ”

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Alessandro La Valle, 55 anni appena compiuti, lavora con frutta e verdura da tutta la vita. Il mestiere l’ha ereditato da suo padre; nel 1969 suo nonno fu il primo a importare le banane in Abruzzo. L’ortofrutta, insomma, è una questione di famiglia da almeno tre generazioni. Fruttivendolo di riferimento per i clienti che a Chieti frequentano la Frutteria Alessandro con la certezza di trovare il prodotto migliore disponibile sul mercato – e il vantaggio di ricevere i consigli di un conoscitore della materia di rara competenza – da tre anni a questa parte La Valle, come si spiega in un articolo di Cibotoday, è anche selezionatore di vegetali per Niko Romito, uomo ombra da cui dipende la fattibilità di uno dei menu incentrati su verdura, tuberi, legumi e frutta più a fuoco nel panorama dell’alta cucina italiana.
Da quando nella cucina del ristorante Reale di Castel di Sangro si è deciso di puntare sul vegetale, infatti, il lavoro di selezione sul territorio che Alessandro implementa ogni giorno, costantemente in cerca del campo migliore in relazione alle caratteristiche di un determinato prodotto – in connessione diretta con piccoli contadini e produttori – è diventato essenziale per dare concretezza al lavoro di ricerca gastronomica sull’essenza del gusto che ha sempre guidato il cuoco abruzzese.

La Valle è un atlante della biodiversità italiana, quasi debordante nel condividere le conoscenze affinate sul campo con una curiosità fuori dal comune. Lo si capisce quando racconta che non basta scegliere una patata del Fucino, se si può puntare direttamente sul terreno migliore della zona, a Bacinetto; e che l’insalata più buona che si possa portare in tavola – la lattuga Mortarella coltivata nell’area di Chieti – è oggi semisconosciuta ai più. “Per la clementina, invece, la zona migliore è quella di Corigliano; mentre per le pesche il riferimento è San Ferdinando di Puglia, e i peperoni più buoni si coltivano nell’area di Comiso”.
Sfumature che oggi il mercato trascura, come fa pure il consumatore, disorientato davanti a prodotti di cui non sa più riconoscere la qualità, figurarsi la provenienza o le caratteristiche organolettiche da prediligere in base all’utilizzo che se ne vuole fare in cucina: “Tutti si riempiono la bocca della parola ‘vegetale’, ma quanti sanno di cosa stanno parlando? Una mela coltivata a 500 metri di altitudine non ha lo stesso sapore di una mela che cresce su un terreno a 900 metri. E cosa dire del limone di Sorrento? È il prodotto più contraffatto nel settore dell’ortofrutta. Per non parlare delle arance: dobbiamo metterci in testa che sono un frutto invernale. Non posso bere una spremuta ad agosto se quelle arance arrivano dal Sudafrica, dove si utilizza una sostanza chimica molto dannosa per il nostro organismo. E i lime che arrivano dal Brasile trattati con la gommalacca?”.
Solo un assaggio delle lacune – dovute alla mancanza di educazione alimentare e al progressivo disinteresse verso ciò che mangiamo – e delle trappole con cui dobbiamo fare i conti nella scelta di frutta e verdura: “Si è perso il sapore del buono, nessuno ha più interesse a cucinare. Così può proliferare la grande distribuzione, che propone prodotti indistinti, senza fornire gli elementi per valutarli. Capita a volte che arrivi in negozio chi non sa distinguere la rucola dalla cicoria. E non c’è la curiosità di chiedere. D’altro canto, il mio mestiere non vuole farlo più nessuno, se non chi lo sceglie per mancanza di alternative e non ha esperienza nel settore, quindi non sa raccontare cosa vende”.
Il discorso si complica quando si parla di prezzi: “Un tempo il mercato italiano dell’ortofrutta era tra i più economici nel panorama internazionale. Oggi non può essere così, perché si produce almeno il 50% in meno, per il cambiamento climatico in primis, e per la scarsità di manodopera, che è un problema reale: nessuno vuole più sacrificarsi in campagna. Quindi non ci sarà un’inversione di tendenza: quest’anno frutta e verdura hanno raggiunto i prezzi più alti mai toccati, potrà verificarsi un leggero assestamento, ma certo non torneremo indietro. Pensiamo solo ai costi dell’agricoltura: per fare due ettari delle migliori fragole, in Basilicata, ci vogliono 80mila euro di investimento, cui si aggiungono più di 3 euro al chilo per la raccolta. A queste condizioni, sempre meno imprenditori sono disposti a rischiare annate storte per la scarsità di acqua o l’imprevedibilità climatica. Quindi il prodotto disponibile diminuisce. Non stupiamoci se frutta e verdura arriveranno a costare più della carne: dove sta scritto che una bieta vale meno di una bistecca? O un piatto di fagiolini meno di un petto di pollo con l’antibiotico? I costi di un’azienda agricola che lavora in regola sono altissimi”.

Ma come far passare il messaggio a fronte di una sempre più scarsa attitudine a riconoscere la qualità dei prodotti? “Per comprendere il giusto prezzo di frutta e verdura ci vuole esperienza. Al supermercato i prodotti esposti non hanno meno di 5-6 giorni di vita dalla raccolta, quando si è fortunati: la freschezza di un vegetale non dovrebbe essere un optional. Ma del resto oggi anche la ristorazione media si rifornisce al discount, per non parlare di frutta e verdura proposte negli ospedali o nelle scuole, che invece dovrebbero impegnarsi a fare educazione alimentare. L’offerta a ribasso ha vinto, e ha gioco facile se il nostro potere d’acquisto continua a crollare”.
Ci si può, però, difendere da qualche falso mito: “Ha ancora senso parlare di stagionalità nel settore dell’ortofrutta? Meglio mangiare una pesca del Cile arrivata via aereo a Natale, che un cacomela conservato in frigorifero in Spagna a gennaio. Ma anche restando in Italia, il clima sta cambiando: in negozio quest’anno ho contemporaneamente le ultime angurie inviate da un produttore di fiducia e le castagne. Smettiamola anche di dire che la frutta grande e lucida è pompata: non sempre è così, bisogna valutare caso per caso”.
Così La Valle affronta il lavoro da moltissimi anni, svegliandosi alle 3 del mattino e chiudendo la giornata solo a tarda sera. Si inizia al mercato all’ingrosso di Villanova, ci si divide tra il negozio e il ristorante, mantenendo sempre un filo diretto con la rete di produttori che finora gli ha permesso di non “bucare” mai la fornitura del Reale, grazie a un’oculata programmazione in campo dei prodotti che finiranno in menu. Il più difficile da reperire? “La foglia di broccolo, perché devi saperla raccogliere al momento giusto, e quest’anno il caldo estremo non ha aiutato. Al momento mi rifornisco da un’azienda di Avezzano, ma le cose cambiano in fretta, è come comporre un puzzle, e per trovare tutti i pezzi è necessario conoscere, andare in campo, ricercare sempre”.
Questa “malattia” per il cibo buono e di qualità, come la definisce lui, da qualche tempo Alessandro La Valle ha iniziato anche a divulgarla, nelle scuole a confronto con i bambini (“il pubblico migliore, sono spugne”), nelle università, per gli allievi dell’Accademia di Niko Romito. E in cantiere c’è anche un libro, scritto a due mani con lo chef del Reale. La domanda più impellente, però, è sul futuro che si prospetta: “In Italia, ormai, il vegetale non soddisfa più la richiesta. Però il mondo va verso il vegetale, perché la carne non è più sostenibile. E allora dovremmo tornare a lavorare in campagna, ma non come si faceva una volta: è necessario studiare, un’azienda deve poter contare su un agronomo e su un economo, per impostare una programmazione che tenga conto del terreno e del contesto, anche molto settoriale, specializzandosi su due o tre prodotti fatti bene. C’è ancora chi è disposto a farlo?”.

Nella foto, da sinistra, Alessandro La Valle e Niko Romito

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