“Il futuro delle produzioni agricole di carciofo sardo è legato a doppio filo alle fluttuazioni di una domanda schizofrenica, responsabile dell’oscillazione dei prezzi e alle incertezze del meteo. Per garantire una maggiore remunerazione ai produttori, alle aziende agricole e commerciali del settore e non continuare ad erodere la superficie Sau dell’isola, è indispensabile una strategia regionale condivisa da tutti gli attori della filiera ortiva”.
Lo ha detto Giorgio Licheri, direttore del Mercato Agroalimentare della Sardegna intervenuto questa mattina alla fiera di Cagliari, all’incontro organizzato da Coldiretti sulla crisi dell’orticoltura in Sardegna.
“Il carciofo, la produzione principale delle nostre campagne, rischia di sparire – prosegue Licheri – se non si introdurranno opportuni correttivi in grado di valorizzare e rendere remunerativo il lavoro delle campagne. Ma occorre partire dalla conoscenza del settore con un osservatorio sui dati di cui oggi la Regione non dispone e che noi, come mercato, siamo disponibili a condividere con un progetto mirato”.
Le variabili imprevedibili del mercato, cui si aggiungono i costi di materie prime (sementi, pesticidi) e dell’energia (carburante) e l’inflazione salita a quota 9,1% in Sardegna, sono fattori che remano contro il settore primario per questo occorre mettere in campo dei progetti mirati.
“Attraverso la rete nazionale di Italmercati, di cui il mercato Agroalimentare della Sardegna fa parte, si potrebbe studiare un progetto triennale di promozione e comunicazione delle diverse varietà del carciofo sardo per favorirne il consumo. Ovviamente serve la volontà politica per mettere insieme tutti gli attori della filiera – evidenzia Licheri – e consentire alle imprese agricole di organizzarsi. L’unico modo per tenere alto il prezzo del carciofo è calibrare l’offerta sulla domanda anche attraverso i ritiri del prodotto dal mercato da destinare alla lavorazione, alla trasformazione, al surgelamento, al sottovuoto o come prodotto di quinta gamma. Il mercato o altre strutture che dispongono già dei macchinari per la lavorazione – spiega il direttore – potrebbero fungere da aggregatori. Queste attività risolverebbero il problema delle eccedenze e permetterebbero di monitorare costantemente la quantità, la provenienza e i canali distributivi. Ovviamente è necessaria una organizzazione di sistema con delle squadre pronte a raccogliere il prodotto appena è pronto – conclude Licheri – per poi passare alla fase successiva della lavorazione-trasformazione e infine alla distribuzione capillare nelle mense, nelle scuole nei ristoranti e nelle strutture ricettive dell’isola”.