LA PIZZA CONTRAFFATTA. DOVE? A NAPOLI

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Mentre il ministero annuncia per marzo 2015 il Forum europeo sulla lotta alla contraffazione agroalimentare scopriamo che anche la pizza napoletana – uno dei simboli della nostra cultura gastronomica nel mondo – è in larga parte contraffatta con ingredienti estranei alla nostra tradizione, per certi versi adulterata e che in alcuni casi può addirittura fare male alla salute.

E questo non a Chicago o Tokyo, ma a Napoli, cioè nella culla della pizza e anche nelle grandi città d’Italia, anche quelle a grande vocazione turistica come Venezia o Firenze. Lieviti industriali, farine straniere, mozzarelle con latte tedesco, pomodoro di dubbia provenienza, olio di bassissima qualità, forni a legna pieni di idrocarburi, uso massiccio di basi congelate, nessun rispetto per i tempi naturali di lievitazione della pasta, ecc.

Il panorama sollevato dalla puntata di Report (Rai3, domenica 12 ottobre) concede molto allo spettacolo però coglie un problema vero: la qualità dei prodotti nella ristorazione fuori casa, al bar, in pizzeria, al ristorante. Un tema che coinvolge tutti perché tutti abbiamo sperimentato la brioche al bar che ti rovina la mattinata o la pizza che viene digerita all’alba del giorno dopo. Ovvio che questo è il lato brutto della medaglia, la qualità esiste, basta cercarla. E non pretendere di spendere poco, perché la qualità costa.

Allora qual è la morale? Che purtroppo anche questa è l’Italia, che ci facciamo del male da soli, che non si può mettere un carabiniere dei Nas in ogni pizzeria. Che ci inebriamo con le nostre eccellenze, con i primati delle dop e igp e poi non sappiamo difendere uno dei simboli globali dell’Italia a tavola. Parliamo tutti i giorni di agro-pirateria sui mercati internazionali, dei nostri prodotti copiati in tutto il mondo, come se la lotta alla contraffazione fosse la panacea di tutti i mali, il rimedio miracolistico che da un giorno all’altro risolleva le sorti (e i redditi) delle imprese agricole e commerciali..certo, serve, nessuno ne dubita.

Però vogliamo dedicarci con altrettanta intensità ad altri buchi neri del nostro sistema: la scarsa competitività delle imprese, i nuovi mercati esteri da aprire (e senza metterci dieci anni di tempo), i consumi sempre più bassi, gli assurdi conflitti di competenze tra ministeri che fanno sì che le pere spagnole entrino in Italia trattate con una molecola che da noi è vietata?

 

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

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