LA PERA PROVA A RIPARTIRE, “MA SERVE VALORIZZARLA”

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Nella campagna bolognese a ridosso di Ferrara la pera era una delle produzioni di punta, almeno fino a qualche anno fa. Poi anche in questi areali, dove le aziende avevano fatto investimenti frutticoli importanti è arrivata la crisi e sono iniziati gli estirpi. Proprio per questo, ormai da qualche anno, a Galliera viene organizzato a settembre un convegno nell’ambito della kermesse enogastronomia “La pera a Galliera” per fare il punto della situazione e capire quali sono le misure strategiche da attuare per rilanciare il settore.

Quest’anno l’evento ha visto la partecipazione del senatore Patrizio Giacomo La Pietra, sottosegretario di Stato per l’agricoltura, la sovranità alimentare e le foreste, Elisa Macchi, direttrice di Cso Italy, Andrea Flora, direttore Confagricoltura Bologna, Roberto Nanni, componente di Giunta Coldiretti Bologna, Marco Bergami, vicepresidente di Cia Emilia Centro e naturalmente del padrone di casa, Stefano Zanni sindaco del Comune di Galliera e presidente dell’Unione Reno Galliera.

Nel corso del convegno si è parlato di questa campagna produttiva – con dati comunque parziali perché durante il convegno la raccolta dell’Abate era in pieno svolgimento – e delle prospettive di mercato, come ha spiegato Elisa Macchi. “In Italia, fino a una decina di anni fa, si coltivavano 36.000 ettari di pere e il potenziale produttivo era di 900mila tonnellate. Adesso quel potenziale è sceso a 500mila perché dopo gli estirpi gli ettari coltivati sono diventati 21mila. Quest’anno le stime dicono che la produzione sarà attorno le 400mila tonnellate, il 20% in meno rispetto al potenziale ma comunque una cifra positiva se pensiamo al disastro delle annate precedenti.

Inoltre, Paesi concorrenti come Belgio, Olanda e Spagna hanno avuto problematiche climatiche e una produzione inferiore alla media, quindi speriamo che diventi per noi un vantaggio a livello di richiesta e prezzi di mercato. Quello che preoccupa però è che l’Italia è passata dall’essere un Paese esportatore a quello di importatore: nel 2023, l’anno horribilis per le pere, c’è stato un calo dell’export di 30mila tonnellate e abbiamo importato circa 130mila tonnellate di prodotto. Il problema non riguarda solo una o due annate negative ma è legato il nostro status di Paese esportatore, perché una volta che si perdono quote di mercato è molto difficile recuperarle.

Anche i consumi di ortofrutta sono negativi, con un calo dell’8% nel 2022 che significa 500mila tonnellate in meno e del 6% nel 2023, cioè 300mila tonnellate in meno ma rispetto un’annata già fortemente compromessa. Chiaramente sulla diminuzione generale della spesa alimentare ha pesato l’aumento dei prodotti al consumo a causa dell’inflazione e dei costi energetici, ma l’ortofrutta è uno dei settori che ha sofferto di più. Credo che il motivo sia dovuto alla non conoscenza: il consumatore crede che l’ortofrutta abbia prezzi alti e non la compra perché il suo valore non viene percepito. Probabilmente non viene comunicato in maniera corretta e diffusa che si tratta di un bene prezioso che richiede competenza nella produzione e soprattutto non il messaggio non passa ai giovani che magari non guardano più la tv generalista ma i media digitali e soprattutto si fidano di alcuni testimonial, come gli sportivi, che invece vengono utilizzati pochissimo per veicolare il consumo di frutta e verdura.
Oltre a lavorare sul rilancio generale per comparto pericolo dal punto di vista produttivo, occorre sicuramente valorizzare meglio la nostra ortofrutta e invertire il trend di consumo”.

A proposito delle problematiche della frutticoltura e del settore agricolo in generale è intervenuto il sottosegretario La Pietra che ha risposto a domande sulla situazione del comparto. In particolare, ha sottolineato che: “Per rilanciare la frutticoltura occorre un impegno su più fronti, a partire dalla corretta applicazione della normativa sulle “Pratiche commerciali sleali” perché non è possibile che un agricoltore venga pagato meno del costo di produzione di un prodotto. Al centro delle azioni di rilancio ci deve essere la garanzia del reddito, aumentando i controlli e intervenendo in maniera decisa in caso di situazioni speculative.

Inoltre – ha continuato La Pietra –, è necessario intervenire sulla limitazione delle molecole e dei principi attivi necessari per la difesa. L’Europa è andata in una direzione ambientalista ma questa sostenibilità non può essere a carico delle aziende. Al momento siamo riusciti a bloccare il documento che limitava ulteriormente l’uso di fitofarmaci e speriamo che a livello europeo si comprenda che non si può togliere senza dare alternative, altrimenti si rischia la produttività di interi comparti.
Anche la gestione del rischio in agricoltura è certamente un tema che merita una profonda riflessione perché abbiamo visto che il Fondo Agricat, che era stato attivato in via sperimentale, ha avuto qualche problema dovuto principalmente a un algoritmo sbagliato. Come Ministero ci siamo subito impegnati a risolvere il problema e a rivedere il meccanismo, perché crediamo che occorra dare alle aziende tutti gli strumenti necessari per difendere la loro redditualità e la produzione di cibo Made In Italy”.

In merito alla gestione del rischio è intervenuto anche Marco Bergami: “Questo comune e la nostra provincia rappresenta una situazione comune a tutti gli areali produttivi che si trovano in difficoltà e che non riusciranno a risollevarsi solo grazie a un’annata di produzione quasi normale. Il nervo scoperto di tutte le aziende agricole è uno solo: la difesa del reddito che negli Stati Uniti è possibile assicurare e credo che anche da noi sia necessario un passo in avanti in questo senso e prevedere delle polizze non solo a protezione dagli eventi climatici, che consentano alle aziende di superare annate difficili, caratterizzate da una bassissima produttività, come quelle che abbiamo attraversato. Il fondo, credo, lo abbiamo toccato e ora occorre risalire, ma per farlo bisogna lavorare su assicurazioni e contributi, anche quelli riservati ai giovani che sono troppo esigui, perché senza un loro impegno nel settore non esiste ovviamente un futuro per l’agricoltura italiana. Il rischio concreto è che tra pochi anni l’Abate, ma questo vale anche per altre produzioni frutticole, arrivi dall’estero, da paesi come L’Olanda dove già si stanno facendo investimenti e vada perduta inesorabilmente l’identità agricola del nostro territorio”.

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