“LA PANDEMIA HA SPINTO IL DIGITALE, MA ORA SERVONO INNOVAZIONE ED EFFICIENZA”

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Superata la fase della digitalizzazione dettata dall’emergenza, le aziende dell’agroalimentare sono entrate in una nuova fase: sostituire le soluzioni adottate nella contingenza con innovazioni più efficienti, in grado di contenere la turbolenza del mercato.

È uno dei messaggi che emergono dalle analisi del nuovo report dell’Osservatorio Strategie e Innovazione nel Food, ricerca del laboratorio Agrifood del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia.

Lo studio ha coinvolto un totale di 519 piccole e medie imprese del settore agroalimentare del Triveneto, di cui 385 localizzate in Veneto, 70 in Trentino Alto-Adige e 64 in Friuli Venezia-Giulia. Il report mira a fornire una panoramica sulla presenza digitale misurando quanto è stato fatto in termini di trasformazione digitale, ormai imprescindibile anche per l’agroalimentare italiano.

Oltre alla digitalizzazione delle aziende, l’analisi ha riguardato le scelte di sostenibilità, compiute sempre in numero crescente.

Mappatura della presenza digitale

Dai dati si può osservare come la presenza online delle aziende del settore sia ampiamente consolidata, seppure con diverse percentuali e diverse modalità. Il campione di aziende rappresenta 536 brand, collegati a 459 siti internet. Al di là dei brand, sono 451 le PMI con almeno un sito internet, con un bacino di utenza potenziale di oltre 50 milioni di persone.

Anche la promozione attraverso i social media ormai riveste un ruolo molto importante. Dal 2019 le piattaforme che registrano la crescita di profili aziendali più marcata sono Instagram (+55) e Linkedin (+43). Sono 83 le aziende presenti su una sola piattaforma (15.9%), 104 su due (20%), 81 su tre (15,6%). 127 le imprese senza alcun profilo social, ben il 24,47%.

Un dato significativo è quello relativo all’utilizzo di e-commerce nelle attività commerciali. Si è registrato un aumento degli e-shop di proprietà del 37,18% rispetto all’osservazione precedente, nel primo post pandemia. Di contro, il 43,94% delle aziende ha dichiarato che non ha e non ha intenzione di investire nell’e-commerce.

Sostenibilità

Sono state poi analizzate, attraverso la comunicazione che viene data sui siti internet, le scelte di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, fatte dalle PMI del settore food.

Gli investimenti sono stati finora indirizzati principalmente su gestione degli scarti, uso di fonti energetiche rinnovabili, sistemi di efficienza energetica. Guardando avanti le aziende hanno già fatto investimenti in merito, rispettivamente 50 PMI nella gestione scarti, a cui se ne aggiungono 9 che intendono farne nei prossimi due anni, 43 nelle energie rinnovabili, più 10 che investiranno in futuro, 48 nell’efficienza energetica, con altri 9 che investiranno prossimamente.

Nonostante gli investimenti fatti o previsti, non più del 20% del campione fornisce pubblicamente rendicontazione non finanziaria, bilancio sociale e bilancio integrato, meno del 10% un bilancio di sostenibilità. Più della metà dei siti web non contengono alcun riferimento alla sostenibilità dell’azienda. La sostenibilità quindi, anche se considerata valore importante e spesso perseguita dalle aziende, viene comunicata ancora timidamente.

 

Il report conclude che l’adozione di nuove tecnologie, specialmente relative al digitale e alla sostenibilità, è nata da una situazione emergenziale quale la pandemia da Covid-19, ma è diventa brevemente una necessità strutturale.

Sull’utilizzo dei social le PMI hanno riscontrato un passaggio da una fase “casalinga” ad una fase “professionale”, che spesso è coinciso con l’assunzione di personale specializzato e dedicato. L’utilizzo di piattaforme di e-commerce online è diventato molto importante per la promozione dell’azienda, ma, osservano, sempre in rapporto complementare con gli strumenti tradizionali, che vedono ancora nei negozi di prossimità e nella GDO i canali distributivi principali.

La sostenibilità, soprattutto ambientale, è un valore che, oramai, è dato per scontato e imprescindibile dalla maggior parte delle imprese.  Ma un’osservazione viene fatta sul rischio di una “sostenibilità di facciata”, in cui le aziende si adattano a regole ormai imprescindibili ma non realmente impattanti.

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