LA NUOVA FRONTIERA DELLE ERBE AROMATICHE, LA PIANA DEL SELE (E NON SOLO) CI CREDE

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L’esplosione dei ristoranti etnici guida la corsa all’ampliamento delle superfici coltivate a piante aromatiche. Crescono nuove filiere, come quella super innovativa dell’asparago nero in Sicilia e non mancano, per alcune di esse, come il basilico, gli impatti negativi della chiusura dei vivai durante il lockdown che stanno determinando adesso una forte carenza di prodotto sul mercato.

L’alta redditività delle piante officinali, inoltre, sta spingendo molti produttori del polo di IV gamma della piana del Sele, a riconvertire le loro serre alla produzione di aromatiche perché sono molto più redditizie delle ormai inflazionate insalatine, sui mercati del Nord Europa dove il Fresh cut italiano ha fatto da cuneo di mercato.

Secondo una stima di Assosementi del 2016, in Italia, complessivamente si coltivano circa 23mila ettari ad erbe aromatiche. I numeri sembrano impressionanti ma, al di là delle aziende agricole che coltivano aromatiche per integrare il loro reddito prodotto da altri tipi di colture (circa 3mila), quelle che sono focalizzate sulle erbe aromatiche e le cui superfici di coltura intensiva possono superare i cento ettari, sono circa un centinaio.

Oggi, poi, il trend di crescita delle superfici è in continua evoluzione, oltre che per l’incremento dell’export anche per la domanda interna derivata dal settore degli integratori alimentari, degli estratti e degli oli essenziali che, in quest’ultimo caso, sono molto redditizi.

A tal proposito, ISMEA, sta per pubblicare un nuovo rapporto del suo Osservatorio erbe aromatiche (l’ultimo è del 2013 con dati 2011), di cui FIPPO, la Federazione italiana dei produttori di piante officinali, ci dà qualche anticipazione, in esclusiva per il Corriere Ortofrutticolo, con riferimento, alle principali varietà di officinali coltivate in Italia.

Oggi, secondo le stime di FIPPO, si registra un incremento delle superfici per le principali varietà. Crescono gli areali per la lavanda (oggi arrivati a 200 ettari), la camomilla (170), la melissa (60 ettari), la camomilla romana (60), la passiflora (125 ettari), l’origano (220 ettari concentrati soprattutto in Sicilia ma i produttori locali affermano che gli areali arrivano anche a 400 ettari), rosmarino (21), timo (11 ettari), maggiorana (4) e basilico circa 120 ettari.

In calo la produzione cuneese di menta le cui superfici arrivano a 240 ettari e questo nonostante una crescente domanda di prodotto fresco da parte di una fascia di popolazione migrante, sempre più numerosa, che la usa tradizionalmente, in cucina.

“Per questo si stanno sviluppando nuove coltivazioni – spiega Andrea Primavera, presidente di FIPPO – nella zona di Torino che vendono il prodotto ai mercati etnici della città. Tra queste nuove realtà produttive un caso significativo è una piccola azienda agricola costituita da due migranti nordafricani e aderente alla cooperativa erbe aromatiche di Pancalieri, che è stata da poco costituita proprio per soddisfare la crescente richiesta nei mercati etnici”.

Intanto da pochi giorni è iniziata in Sicilia la raccolta dell’origano. Una campagna che si dimostra leggermente rallentata rispetto a quella di tre anni fa, quando si è avuto un boom di prezzi di mercato.

“Quest’anno i prezzi dell’origano sono dimezzati rispetto a 3 anni fa – spiega Salvatore Ciulla dell’azienda agricola Muxarello, presidente del distretto rurale di qualità dei Monti Sicani, in Sicilia, che partecipa al bando Psr appena aperto, per la valorizzazione della filiera delle erbe aromatiche con un progetto da 20 milioni di euro –. Oggi siamo sui 2 euro al chilo contro i quattro di allora. In parte dipende dalla molta umidità registrata nelle colture che ha reso le foglie leggermente più scure. Dopo una battaglia durata tre anni, solo quest’anno siamo riusciti a fare ridurre l’Iva al legislatore, dal 22% al 5%. Inoltre, con il Crea abbiamo avviato un altro progetto nuovo per censire le nostre varietà autoctone di origano che è diverso da quello prodotto nelle altre regioni. Questo progetto ha la priorità massima, perché se non registreremo le nostre varietà tra tre anni saremo succubi delle società che avranno registrato per prime alle quali saremo costretti a rivolgerci per la produzione e la commercializzazione di un prodotto che tipico siciliano”

Il Lockdown a causa del Covid-19, ha impattato sul mercato delle erbe aromatiche per via del blocco del settore ortoflorovivaistico che ha causato la difficoltà di reperimento sul mercato, oggi, ad esempio, del basilico.

“Nel periodo di chiusura – continua Primavera – molti ordini ai vivai di erbe aromatiche, sono stati disdetti proprio per la paura di trovarsi prodotto non vendibile e altamente deperibile. Questo ha causato un’interruzione produttiva che si ripercuote ancora oggi con difficoltà di reperimento del prodotto”.

Così, però, non è stato, ad esempio, per l’azienda agricola Caselle di Ponte Cagnano specializzata nella produzione di erbe aromatiche (su 30 ettari di cui 15 sotto serra) che vende con il marchio Elody.

Piero De Bartolomeis

“Noi abbiamo acquistato prima del blocco  per prepararci in tempo per la stagione – ci spiega il proprietario Piero De Bartolomeis che da produttore di IV gamma della provincia di Salerno, è passato alle erbe aromatiche proprio per la maggiore redditività di quest’ultime. Così quando a marzo c’è stato il blocco ci siamo ritrovati con un surplus di prodotto che però, grazie ai contratti con i trasformatori, siamo comunque riusciti a vendere. In particolare, 5mila quintali sono stati venduti a Barilla e mille alla Star per i sughi. Il grosso delle perdite sono state causate dalla chiusura del canale horeca che adesso a poco a poco sta riprendendosi. Prima del lock-down facevamo 4mila polistiroli al mese, adesso, nella Fase 2, siamo su 700-800. Questo ha causato perdite sul prodotto fresco del 35% nel confronto tra maggio 2020 e maggio 2019”.

L’azienda agricola Caselle è, peraltro, capofila di un progetto della Regione Campania, condotto in collaborazione con l’Università di Salerno, e finalizzato al recupero delle varietà autoctone di erbe aromatiche che verranno poi riprodotte in serra dall’azienda. Tra quelle più richieste ci sono la maggiorana il timo e l’origano.

“Abbiamo da poco acquistato un essiccatore ad aria fredda e tra un paio di mesi ne installeremo uno a microonde – continua Bartolomeis – proprio per la crescente richiesta di prodotto essiccato e anche meno deperibile”.

In ogni caso, il mondo delle erbe aromatiche made in Italy è sicuramente in crescita nel canale export (soprattutto nord Europa), per via della maggiore richiesta di prodotto mediterraneo, anzi italiano.

Fino ad oggi il mercato è stato dominato dai prodotti israeliani ed africani, soprattutto egiziani e kenyoti. Ma gli equilibri di questo comparto, si stanno ridisegnando velocemente da un paio d’anni a questa parte, anche per la necessità dei produttori (in grave carenza di liquidità per una serie di motivi quali annate sbagliate, cambio climatico, dumping sui prezzi della concorrenza straniera), di cercare nuove soluzioni che siano redditizie e veloci. Come quelle offerte, appunto, dalle erbe aromatiche.

La Piana del Sele è pioniera in questo, anche perché l’esportazione di Fresh Cut verso il n0rd Ue ha, di fatto, aperto un cuneo di mercato anche per le aromatiche. Stanno già iniziando le riconversioni dei primi impianti di IV gamma, ormai svalutati e ulteriormente penalizzati dal mercato ai tempi del Covid. “Qui – continua De Bartolomeis, stanno nascendo tante aziende riconvertite a monoculture di salvia, ad esempio, menta o rosmarino. Ma siamo ancora al 2-3% delle riconversioni”.

Per quanto riguarda l’andamento di mercato, quest’anno si registra un incremento dei prezzi del 20% con prezzi al chilo che possono superare i 5 euro/kg per alcune varietà e, come nel caso dell’asparago nero siciliano selvatico, arrivare anche a 18 euro/kg con le vendite dirette nei mercati rionali. Per questo sui monti Sicani è partito da poco un progetto per il recupero di questa varietà.

“L’asparago selvatico siciliano – spiega Angelo Palamenghi, agronomo, nonché responsabile del progetto– è una coltura che abbiamo iniziato a coltivare da 5 anni. Oggi siamo arrivati a 10 ettari, non tutti in produzione, e questo è il secondo anno di produzione. Abbiamo 8 campi sperimentali, con 7-8 aziende che partecipano a cui va aggiunto un ettaro dell’azienda di Lillo Roccaforte che ha fatto da pionere, iniziando a lavorare a questa innovazione e che, ora, sta trasferendo know-how agli altri. Contiamo, nei prossimi due anni, di superare i 22 ettari ed arrivare ad una ventina di aziende parecipanti. All’orizzonte anche la richiesta per l’Igp e la conversione in Bio delle colture. Stiamo lavorando anche ad un marchio da abbinare al distretto rurale di qualità dei monti Sicani, a cui aderiamo e che comprende più di 1.500 aziende in tutta l’isola. È uno dei pochi distretti che ha attivato una filiera sulle piante aromatiche e tra gli obiettivi si prefigge la sua valorizzazione”.

Mariangela Latella

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