“Siamo noi le prime vittime del falso bio”. Questa la prima reazione a caldo di Fabrizio Piva (nella foto), amministratore delegato dell’ente di certificazione del biologico CCPB, dopo la notizia della maxi truffa da 700 mila tonnellate scoperta dalla Guardia di Finanza di Verona per un valore che supera i 220 milioni di euro (leggi le news correlate 1 e 2).
“Come CCPB abbiamo in questi ultimi mesi collaborato con gli organi di vigilanza per smascherare queste truffe che, per sete di facile denaro, rischiano di compromettere il lavoro e l’impegno di aziende serie che hanno fatto del biologico un’eccellenza italiana invidiata in tutto il mondo”.
A nome dell’ente di certificazione, Piva sottolinea come il vero biologico italiano sia la prima vittima di questo sistema delinquenziale e rischi di mettere a repentaglio l’immagine di un settore che in tempi di crisi continua a crescere rappresentando un’ancora di salvataggio per l’industria agroalimentare italiana. “Il sistema di controllo e certificazione – conclude Piva – ha dimostrato anche in questo caso di essere in grado di espellere i soggetti che operano contro la legge”.
Secondo la Cia, confederazione italiana agricoltori si tratta di "una grande truffa che danneggia i consumatori alla ricerca dei prodotti di qualità, rischia di creare ulteriore sfiducia nei cittadini sulla trasparenza dei mercati e penalizza pesantemente i tanti produttori biologici seri che con impegno operano per fornire prodotti di pregio e migliorare l’ambiente".
La Cia rileva che le derrate sequestrate -principalmente frumento, soia, favino, farine e frutta secca- sono prodotti d’importazione destinati in gran parte per l’alimentazione del bestiame nelle aziende biologiche.
La Guardia di Finanza, anche in collaborazione con le strutture italiane di controllo, ha avviato questa indagine da oltre un anno, dopo accertamenti fiscali a una piccola azienda agricola. Questa a sua insaputa – ricorda la Cia – risultava aver venduto rilevanti quantità di merci ad un grossista: in realtà si trattava di un colossale giro di false fatturazioni.
Per questo motivo la Cia ribadisce l’esigenza della massima determinazione nel portare al termine l’indagine, in modo da dare i giusti contorni a tutta la vicenda.
Ma occorre anche fare di più – sottolinea la Cia – nell’organizzazione delle filiere, nella tracciabilità degli scambi commerciali, nella gestione dei controlli che troppo spesso si fermano alle aziende agricole e non seguono il prodotto fino alla distribuzione.
La Cia è da tempo impegnata perché si rafforzi in Italia un sistema dei controlli, affidabile, fondato sull’efficacia e sulla massima semplificazione possibile. Spesso invece sembra che il sistema funzioni esattamente alla rovescia con duplicazioni, assenza di coordinamento, frammentazione degli organismi, scarsa professionalità insieme a tanta burocrazia inutile.
E’ necessario agire subito per qualificare l’azione degli organismi di certificazione, rafforzare il sistema di accreditamento e finalizzare meglio l’azione di vigilanza pubblica. Ognuno -ribadisce la Cia- deve fare il suo compito in un sistema ben programmato ed efficacemente informatizzato. Proprio su quest’ultimo aspetto dobbiamo lamentare, invece, forti ritardi da parte degli uffici ministeriali.
La qualità alimentare “made in Italy” – conclude la Cia – deve assicurare benessere ai cittadini consumatori e reddito agli agricoltori. E’ una vera leva per la crescita e la rinascita del nostro paese. Per questo occorre operare con fermezza e tempestività.