LA GUERRA DEL CIBO CHE VERRÀ. SOSTENERE LE PRODUZIONI LOCALI E STOP ALL’IMPORT DA PAESI INDEGNI

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Oggi si vedono i primi bagliori di quello che sarà il grande incendio di domani. Tutti saremo coinvolti nella prossima grande angoscia mondiale: la guerra del cibo.

Al momento possiamo assistere alle prime sparute battaglie, schermaglie su singoli prodotti alimentari, o su singole aree geografiche. Nel futuro non lo sappiamo cosa succederà.
La produzione agricola oggi è bilanciata per poter sfamare l’umanità, ma possono intervenire delle variabili che sbilancerebbero questo equilibrio. Innanzitutto i prodotti alimentari di base come grano, riso, patate, carote, mais, Soia sono oramai prodotti in aree ristrette ed in maniera estremamente intensiva, cioè non vi è una capillarità di produzione ma un eccesso di concentrazione. Queste zone io amerei chiamarle “Pompe Proteiche” come se fossero dei campi petroliferi ma questi anziché estrarre petrolio estraggono cibo proteico che sfama il mondo intero. Basta un singolo evento avverso in una di queste aree come una guerra o una rivoluzione per causare delle crisi globali con eventi a catena che possono destabilizzare e portare tensioni tra Stati. Negli anni è avvenuta una concentrazione di queste “Pompe Proteiche” in alcune zone del mondo perché proprio li vi erano condizioni pedoclimatiche particolari ma, soprattutto, perché in queste aree vi erano degli imprenditori agricoli evoluti ed intelligenti che hanno saputo cavalcare l’onda modernista con nuovi trattori, nuove tecniche di irrigazione, nuovi macchinari di raccolta, nuove varietà di seme, o nuove tecniche produttive come il biologico.
Le più importanti “Pompe Proteiche” oggi si trovano in stati come il Canada o gli Stati Uniti dove il costo del lavoro è tra i più alti al mondo. Paradossalmente gli Stati dove il costo della manodopera è molto basso come Egitto, India, Algeria sono Paesi importatori di derrate alimentari. Ci si chiede perché questi Stati anziché importare grano dal Canada o dall’Ucraina non lo producono sul proprio suolo con la loro manodopera? La risposta è multipla. Per prima cosa non si può più produrre grano in questi Stati perché è cambiato il clima. Il secondo luogo è molto più comodo e molto più economico importare il grano che produrlo in un suolo arido, con manodopera poco specializzata, e con trattori vecchi e malandati.
Le battaglie attuali sul grano, sui semi di girasole o sulle patate sono come delle prove generali di quello che potrebbe avvenire e di come ogni nazione potrebbe agire. La prima azione che si verificherebbe (come già stiamo verificando in questi giorni) è il cosiddetto embargo. Ogni nazione che si troverebbe a corto di una qualsiasi delle materie prime alimentari, adotterebbe come misura immediata lo stop alla sua esportazione o all’esportazione di un prodotto similare. L’esempio lo abbiamo avuto in questi giorni con il Marocco che essendo a corto di prodotti alimentari, tra cui il grano, ha bloccato le esportazioni di pomodoro verso l’Europa per soddisfare il fabbisogno interno. Queste azioni sono uno dei più gravi errori delle politiche alimentari nazionali. Ogni prodotto ha una sua specificità e in un’umanità ormai abituata a delle varianti alimentari ed ad una varietà alimentare come queste attuali, è impossibile sostituire d’imperio un prodotto. Nell’esempio del Marocco è impensabile che il consumatore marocchino possa sostituire il grano con il pomodoro. Tutti cercherebbero grano, anche pagandolo a prezzi esorbitanti. La nazione che prima esportava pomodoro ed oggi ha imposto un embargo diverrebbe una nazione nemica, indi battaglia alimentare. Quando le singole battaglie alimentari diverranno talmente diffuse da creare alleanze (Paesi poveri contro nazioni ricche – Paesi produttori contro nazioni importatrici) si potrebbe scatenare una vera “Guerra del Cibo”. A quel punto gli obiettivi di conquista non sarebbero i territori nemici, ma le loro riserve alimentari.
Bisogna pensare con la mente di un agricoltore per poter superare questa terribile ipotesi della Guerra del cibo.
La fluidità dei rapporti commerciali è la base per un economia evoluta. I protezionismi e gli embarghi sono il male assoluto per un produttore agricolo. Pensate quanto è bello questo concetto: “io produco qualcosa che sfamerà un altro uomo” ed ancor di più se lo faccio con passione e rispetto verso la natura.
Bisogna superare il concetto di “Pompe Proteiche”, e dare spazio alle produzioni locali. Il consumatore finale deve prediligere il prodotto nazionale e locale, ma senza mai escludere o sminuire il prodotto importato. Si deve avere consapevolezza che il prodotto nazionale potrà costare di più, ma ogni acquisto di prodotto locale aiuta l’economia del proprio Paese. Non bisogna drogare con incentivi e contributi le produzioni agricole nazionali ma sostenerle con incentivi culturali, per creare una consapevolezza nel cittadino della fatica e dello sforzo che gli agricoltori nazionali fanno per produrre un singolo chilo di carote.
Bisogna continuare ad importare per evitare deficit alimentari, ma bisogna anche evitare di importare merce da nazioni e/o aziende che non rispettano gli standard economici e sociali verso gli operai ed i braccianti agricoli. Nessuno può competere economicamente con chi produce sottopagando e sfruttando altri uomini. Non bisogna aprire liberamente le frontiere a tutti, ma bisogna controllare e valutare chi è socialmente degno di esportare verso la nostra nazione (sia che sia uno stato sia che sia un singolo produttore).
In ogni caso io so che in ogni guerra ci perdiamo tutti, ma almeno noi contadini abbiamo sempre avuto da mangiare in tempo di guerra. Nella prossima guerra del cibo neanche questo potrà avvenire, perché proprio noi agricoltori, con le nostre riserve di cibo, saremo il vero bottino di guerra.

Roberto Giadone

imprenditore agricolo di Natura Iblea

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