L’agricoltura contribuisce alla frenata dell’inflazione a febbraio. I prezzi dei prodotti alimentari non lavorati (soprattutto i vegetali freschi) sono, infatti, diminuiti, in termini congiunturali, dello 0,1 per cento e hanno fatto registrare un deciso rallentamento in termini tendenziali, passando dal più 4,8 per cento di gennaio al più 3 per cento.
E’ quanto segnala la Cia-Confederazione italiana agricoltori in merito ai dati provvisori dell’Istat. Dai campi -osserva la Cia- è, quindi, venuto un colpo di freno che riporta i listini al dettaglio (specie sul fronte del “fresco”) su livelli più accessibili, anche se i prodotti trasformati rimangono ancora cari. Comunque, sempre molto al di sotto delle quotazioni raggiunte negli ultimi mesi.
La flessione al dettaglio dei prezzi degli alimentari non lavorati è principalmente imputabile alla diminuzione congiunturale dei listini dei vegetali freschi (meno 2 per cento) che crescono su base annua del 2 per cento, ma calano sensibilmente rispetto a gennaio, quando avevano fatto segnare una crescita del 13,1 per cento.
Il calo dei prezzi agricoli all’origine -ricorda la Cia- ha interessato la maggior parte dei comparti. A gennaio scorso -come segnala l’Ismea- si è avuta una flessione congiunturale (rispetto a dicembre) dell’1,2 per cento. Diminuzioni si registrano per i cereali (meno 1,9 per cento), la frutta (meno 0,7 per cento), le sementi e le coltivazioni industriali (meno 0,8 per cento), i “lattiero-caseari” (meno 0,3 per cento), gli avicoli (meno 9,3 per cento), gli ovi-caprini (meno 8,7 per cento), i conigli (meno 6,2 per cento) e le uova (meno 3,2 per cento).
Di contro resta sempre difficile la situazione delle imprese agricole che fanno i conti con prezzi non remunerativi e con un aumento continuo dei costi produttivi, contributivi e burocratici, senza contare dell’effetto pesante provocato dall’Imu. E tutto questo comporterà -conclude la Cia- un nuovo taglio dei redditi dei produttori.