In che misura la marca orienta il comportamento del consumatore nel reparto? Quali sono i valori e le aspettative nei confronti dei prodotti ortofrutticoli brandizzati? Cercando di rispondere a queste domande è stata realizzata l’indagine di SG Marketing, presentata ieri durante il Convegno dal titolo “Il valore della marca in ortofrutta per il consumatore finale. Vissuto, strategie e testimonianze”.
Dall’analisi di Salvo Garipoli è emerso quanto la marca del produttore ortofrutticolo rappresenti per il consumatore un valore concreto su cui lavorare per garantire qualità consistente; che la convivenza private label e brand del produttore è indispensabile per valorizzare il percepito del reparto e quanto il punto di vendita continuerà anche in futuro a essere il luogo in cui la marca realizza la propria dimensione esistenziale.
La tavola rotonda
Alla tavola rotonda successiva sono intervenuti cinque big del settore, portavoce di un modello di valorizzazione dell’ortofrutta. “Per Marlene il marchio rispecchia i valori dei produttori stessi e del territorio, per questo i nostri testimonial sono gli stessi soci – ha dichiarato Hannes Tauber, marketing manager manager -. Sappiamo di dover ascoltare il mercato e capiamo l’importanza degli operatori in punto di vendita nel comunicare il brand Marlene. Per questo vogliamo intraprendere un progetto di formazione degli addetti in reparto trasmettendo loro i valori delle nostre mele per poi comunicarli al meglio al consumatore finale”.
“Fare marca è trasmettere un’identità per cui è necessario farlo responsabilmente e con passione, arrivando al consumatore con il proprio nome e con i propri valori in maniera chiara e sintetica – ha precisato da parte sua Andrea Battagliola, direttore generale La Linea Verde – “Un dato che mi ha sorpreso molto è il peso degli investimenti in comunicazione delle imprese ortofrutticole, pari ad appena l’1,3%, a fronte del peso dell’ortofrutta pari al 12% sulle vendite del food in generale. Dobbiamo chiederci i motivi e gli effetti di questi dati e lavorarci sopra”.
“Il nostro era un progetto chiaro con obiettivi definiti: valorizzare e riscoprire l’ortofrutta. L’idea nasce dalla passione e da quella che ci sembrava un’esigenza. Per questo il nostro target di riferimento siamo state noi stesse. Abbiamo cercato di portare sul mercato prodotti che in primis piacessero noi stesse: da una parte i bisogni di una mamma, la mia, e dall’altra io, una ragazza di vent’anni con l’amore per il design e la comunicazione che acquista tenendo conto dell’experience e dell’estetica dei prodotti”, ha dichiarato Marianna Palella, founder e CEO Citrus L’Orto Italiano.
“La private label non deve essere vista come un nemico del brand del produttore; per rimanere leader bisogna continuare a investire in innovazione (di processo, prodotto, packaging, canali commerciali come per le Isole Almaverde Bio) e in comunicazione. Per questo stiamo lanciando un progetto di divulgazione del marchio nelle farmacie, nell’Horeca. Senza dimenticare tutta l’attività svolta online”, ha aggiunto Ilenio Bastoni, presidente Almaverde Bio.
“Quando nel 2002 abbiamo avuto il riconoscimento IGP pensavamo di aver già vinto la sfida. Negli anni però non abbiamo ottenuto i risultati sperati, così abbiamo fatto un passo indietro, intraprendendo un percorso di valorizzazione del prodotto che partisse da una nuova educazione del produttore, per poi comunicarla al consumatore”, ha concluso Salvatore Lentinello, presidente del Consorzio di Tutela del Pomodoro di Pachino IGP.