L’agricoltura, anzi meglio l’agroalimentare, è stata oggetto nel giro di una settimana delle due trasmissioni d’inchiesta più importanti della RAI: lunedi 12 con “Il prezzo ingiusto” di Presa Diretta e lunedi 19 con la puntata di Report che conteneva una inchiesta sul grano Senatore Cappelli.
Certamente sono due trasmissioni che si distinguono per la serietà dei conduttori, Riccardo Iacona e Sigfrido Ranucci, ma quando affrontano temi che riguardano l’agroalimentare non c’è una volta che i giornalisti a cui è affidata l’inchiesta non si facciano prendere dalla voglia di fare lo scoop o di insistere su argomenti e inquadrature che fanno leva sulla emotività degli spettatori. Questo taglio della trasmissione ottiene in modo facile l’approvazione dello spettatore poco informato, ma il giornalista responsabile, proprio perché l’emotività prevale (agricoltura è alimento, è vita!), spesso non è spinto a fornirgli tutte le informazioni utili a interpretare quanto gli sta presentando e per consentirgli un giudizio critico sulle conclusioni a cui giunge lo stesso giornalista.
Su “Il prezzo ingiusto” di Presa Diretta del 12 ottobre ha reagito molta stampa specializzata sia del mondo agricolo che della distribuzione alimentare. In estrema sintesi, la giornalista che ha gestito gran parte dell’inchiesta, Giulia Bosetti, ha trovato più facile allinearsi a quanto già altri hanno sostenuto e cioè che i prezzi ingiusti sono il frutto dello strapotere della GDO la quale è responsabile della povertà degli agricoltori e, in una catena infernale, anche dello sfruttamento della manodopera di colore e del caporalato. Scoop perfetto per muovere l’emotività dello spettatore, ma di fronte a un dato fornito nella trasmissione da una collega della Bosetti e cioè che il 72% dell’alimentare viene distribuito attraverso la GDO, non era forse il caso che portasse la testimonianza anche di quelle cooperative e di quelle industrie alimentari che con la grande distribuzione moderna hanno un rapporto di collaborazione senza per questo sentirsi sfruttati?
Insomma, se il 72% dell’alimentare viene distribuito attraverso la GDO è possibile concludere che tutta la GDO è fatta di cattivi, ce ne sono certamente come dappertutto, e che tutte le cooperative agricole e tutte le industrie alimentari che collaborano con la GDO sono gestite da masochisti. A sostegno della tesi della Bosetti è troppo facile inquadrare le baraccopoli di Borgo Mezzanone e di altri siti dove vivono quei poveracci sfruttati dal caporalato e usati da tanti agricoltori vittime del “prezzo ingiusto” (tutti ??), ma la giornalista avrebbe dovuto anche informare che il problema dello strapotere della GDO è presente in tutti gli Stati moderni, dove la grande distribuzione è il sistema di distribuzione di maggiore successo presso i consumatori; che tutti gli Stati, compreso il nostro, e la stessa Unione Europea cercano di regolare i comportamenti contrattuali della GDO; che il rapporto tra GDO e fornitori non sempre è patologico, ma consiste in molti casi in un rapporto di collaborazione. In conclusione, la GDO è troppo importante per l’economia dell’agroalimentare per soffermarsi solo sui casi di sfruttamento dei poveri agricoltori! Con questo non vogliamo dimenticare né Borgo Mezzanone né le altre bidonville abitate dai poveracci intervistati nella trasmissione, una vera vergogna per il nostro Paese, perché tutte le istituzioni nazionali e locali le conoscono e finora non hanno fatto nulla, se non qualche inutile sceneggiata a uso dei media.
L’inchiesta di Bernardo Iovene, giornalista di Report, sul grano duro Senatore Cappelli, nella prima parte descrive i benefici per la salute, certamente veri, derivanti dall’alimentazione con pasta di grano duro Senatore Cappelli. Mi dispiace dirlo, ma più che il risultato di una inchiesta, mi ha dato l’impressione di una pubblicità redazionale del grano Senatore Cappelli e della SIS SpA, industria che ha la concessione per la moltiplicazione e la commercializzazione del seme. L’inchiesta di Iovene poi si abbassa fino ad affermare che forse il ricorso all’Antitrust da parte delle altre organizzazioni professionali agricole è il frutto dell’invidia di queste organizzazioni, perché il Senatore Cappelli veniva venduto solo agli agricoltori di Coldiretti. Non basta, ma il ricorso delle altre organizzazioni, che ha portato alla sanzione di SIS SpA da parte dell’Autorità Antitrust, potrebbe essere la causa anche del blocco della moltiplicazione e della commercializzazione di questo fantastico seme da parte di SIS SpA, l’industria sementiera a cui il CREA (Centro per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria) ha dato la concessione, privando gli italiani della possibilità di continuare a consumare pasta fatta con grano Senatore Cappelli così importante per la loro salute. Veramente un bel colpo di teatro.
Per la verità, il giornalista ha intervistato Filippo Arena, segretario generale dell’Autorità Antitrust, ma la conclusione a cui giunge la trasmissione insinua lo stesso forti dubbi sulla validità della sentenza, messa in dubbio dal presidente di SIS SpA, Tonello, che nel corso dell’intervista afferma persino, che nell’istruttoria dell’Antitrust vi erano anche testimonianze false. Forse l’autore dell’inchiesta giornalistica avrebbe fatto bene a consultare gli atti. L’istruttoria è iniziata nel mese di marzo del 2019, la SIS SpA è stata informata e ha presentato le sue contro-deduzioni, il procedimento si è concluso nel mese di novembre con delibera dell’Autorità Antitrust che comminava a SIS SpA il massimo della sanzione amministrativa consentita dall’art. 62 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, per tre distinte condotte: la generale imposizione del vincolo di filiera chiusa quale pre-condizione per la fornitura delle sementi; discriminazioni e dinieghi ingiustificati di fornitura delle sementi; aumenti ingiustificati dei prezzi delle sementi (Corriere Ortofrutticolo, 28 agosto 2020). Credo che le tre condotte individuate dall’Antitrust, e per le quali ha comminato le sanzioni, lascino pochi dubbi sulla liceità dei comportamenti di SIS SpA nella commercializzazione delle sementi nell’interesse degli agricoltori che Coldiretti, l’organizzazione professionale che esprime buona parte del Consiglio di Amministrazione di SIS SpA, deve tutelare o tutela forse solo i suoi?
La scusa della filiera corta, che costringeva gli utilizzatori del seme Senatore Cappelli a firmare un contratto di cessione del raccolto alla stessa SIS SpA, per impedire che i produttori di grano duro Senatore Cappelli lo usassero per il reimpianto, provocando una degenerazione delle caratteristiche del seme, è poi una bufala, perché nell’agricoltura moderna il caso del reimpianto come seme di parte della granella prodotta per usi commerciali è rarissimo, perché l’agricoltore sa che per assicurarsi una buona resa e garantire la qualità della granella prodotta deve utilizzare seme originale ottenuto da una industria sementiera.
Le ultime inquadrature del presidente Tonello che con sguardo perso nel vuoto afferma che SIS forse dovrà rinunciare ai suoi progetti, mi spingono a rivolgergli qualche parola di conforto: SIS SpA potrà continuare tranquillamente, anche dopo la sanzione dell’Antitrust, a moltiplicare e a commercializzare il seme di grano duro Senatore Cappelli finché avrà la concessione dal CREA.
Purtroppo, temo che anche questa volta sia Presa Diretta che Report abbiano perso l’occasione di descrivere quella che è l’agricoltura vera e il sistema agroalimentare di cui fa parte.
Corrado Giacomini
Economista agrario – Comitato di indirizzo del Corriere Ortofrutticolo
INCHIESTE RAI UN PO’ TROPPO FAZIOSE E SUPERFICIALI: NON TUTTA LA GDO È “CATTIVA”
L’agricoltura, anzi meglio l’agroalimentare, è stata oggetto nel giro di una settimana delle due trasmissioni d’inchiesta più importanti della RAI: lunedi 12 con “Il prezzo ingiusto” di Presa Diretta e lunedi 19 con la puntata di Report che conteneva una inchiesta sul grano Senatore Cappelli.
Certamente sono due trasmissioni che si distinguono per la serietà dei conduttori, Riccardo Iacona e Sigfrido Ranucci, ma quando affrontano temi che riguardano l’agroalimentare non c’è una volta che i giornalisti a cui è affidata l’inchiesta non si facciano prendere dalla voglia di fare lo scoop o di insistere su argomenti e inquadrature che fanno leva sulla emotività degli spettatori. Questo taglio della trasmissione ottiene in modo facile l’approvazione dello spettatore poco informato, ma il giornalista responsabile, proprio perché l’emotività prevale (agricoltura è alimento, è vita!), spesso non è spinto a fornirgli tutte le informazioni utili a interpretare quanto gli sta presentando e per consentirgli un giudizio critico sulle conclusioni a cui giunge lo stesso giornalista.
Su “Il prezzo ingiusto” di Presa Diretta del 12 ottobre ha reagito molta stampa specializzata sia del mondo agricolo che della distribuzione alimentare. In estrema sintesi, la giornalista che ha gestito gran parte dell’inchiesta, Giulia Bosetti, ha trovato più facile allinearsi a quanto già altri hanno sostenuto e cioè che i prezzi ingiusti sono il frutto dello strapotere della GDO la quale è responsabile della povertà degli agricoltori e, in una catena infernale, anche dello sfruttamento della manodopera di colore e del caporalato. Scoop perfetto per muovere l’emotività dello spettatore, ma di fronte a un dato fornito nella trasmissione da una collega della Bosetti e cioè che il 72% dell’alimentare viene distribuito attraverso la GDO, non era forse il caso che portasse la testimonianza anche di quelle cooperative e di quelle industrie alimentari che con la grande distribuzione moderna hanno un rapporto di collaborazione senza per questo sentirsi sfruttati?
Insomma, se il 72% dell’alimentare viene distribuito attraverso la GDO è possibile concludere che tutta la GDO è fatta di cattivi, ce ne sono certamente come dappertutto, e che tutte le cooperative agricole e tutte le industrie alimentari che collaborano con la GDO sono gestite da masochisti. A sostegno della tesi della Bosetti è troppo facile inquadrare le baraccopoli di Borgo Mezzanone e di altri siti dove vivono quei poveracci sfruttati dal caporalato e usati da tanti agricoltori vittime del “prezzo ingiusto” (tutti ??), ma la giornalista avrebbe dovuto anche informare che il problema dello strapotere della GDO è presente in tutti gli Stati moderni, dove la grande distribuzione è il sistema di distribuzione di maggiore successo presso i consumatori; che tutti gli Stati, compreso il nostro, e la stessa Unione Europea cercano di regolare i comportamenti contrattuali della GDO; che il rapporto tra GDO e fornitori non sempre è patologico, ma consiste in molti casi in un rapporto di collaborazione. In conclusione, la GDO è troppo importante per l’economia dell’agroalimentare per soffermarsi solo sui casi di sfruttamento dei poveri agricoltori! Con questo non vogliamo dimenticare né Borgo Mezzanone né le altre bidonville abitate dai poveracci intervistati nella trasmissione, una vera vergogna per il nostro Paese, perché tutte le istituzioni nazionali e locali le conoscono e finora non hanno fatto nulla, se non qualche inutile sceneggiata a uso dei media.
L’inchiesta di Bernardo Iovene, giornalista di Report, sul grano duro Senatore Cappelli, nella prima parte descrive i benefici per la salute, certamente veri, derivanti dall’alimentazione con pasta di grano duro Senatore Cappelli. Mi dispiace dirlo, ma più che il risultato di una inchiesta, mi ha dato l’impressione di una pubblicità redazionale del grano Senatore Cappelli e della SIS SpA, industria che ha la concessione per la moltiplicazione e la commercializzazione del seme. L’inchiesta di Iovene poi si abbassa fino ad affermare che forse il ricorso all’Antitrust da parte delle altre organizzazioni professionali agricole è il frutto dell’invidia di queste organizzazioni, perché il Senatore Cappelli veniva venduto solo agli agricoltori di Coldiretti. Non basta, ma il ricorso delle altre organizzazioni, che ha portato alla sanzione di SIS SpA da parte dell’Autorità Antitrust, potrebbe essere la causa anche del blocco della moltiplicazione e della commercializzazione di questo fantastico seme da parte di SIS SpA, l’industria sementiera a cui il CREA (Centro per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria) ha dato la concessione, privando gli italiani della possibilità di continuare a consumare pasta fatta con grano Senatore Cappelli così importante per la loro salute. Veramente un bel colpo di teatro.
Per la verità, il giornalista ha intervistato Filippo Arena, segretario generale dell’Autorità Antitrust, ma la conclusione a cui giunge la trasmissione insinua lo stesso forti dubbi sulla validità della sentenza, messa in dubbio dal presidente di SIS SpA, Tonello, che nel corso dell’intervista afferma persino, che nell’istruttoria dell’Antitrust vi erano anche testimonianze false. Forse l’autore dell’inchiesta giornalistica avrebbe fatto bene a consultare gli atti. L’istruttoria è iniziata nel mese di marzo del 2019, la SIS SpA è stata informata e ha presentato le sue contro-deduzioni, il procedimento si è concluso nel mese di novembre con delibera dell’Autorità Antitrust che comminava a SIS SpA il massimo della sanzione amministrativa consentita dall’art. 62 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, per tre distinte condotte: la generale imposizione del vincolo di filiera chiusa quale pre-condizione per la fornitura delle sementi; discriminazioni e dinieghi ingiustificati di fornitura delle sementi; aumenti ingiustificati dei prezzi delle sementi (Corriere Ortofrutticolo, 28 agosto 2020). Credo che le tre condotte individuate dall’Antitrust, e per le quali ha comminato le sanzioni, lascino pochi dubbi sulla liceità dei comportamenti di SIS SpA nella commercializzazione delle sementi nell’interesse degli agricoltori che Coldiretti, l’organizzazione professionale che esprime buona parte del Consiglio di Amministrazione di SIS SpA, deve tutelare o tutela forse solo i suoi?
La scusa della filiera corta, che costringeva gli utilizzatori del seme Senatore Cappelli a firmare un contratto di cessione del raccolto alla stessa SIS SpA, per impedire che i produttori di grano duro Senatore Cappelli lo usassero per il reimpianto, provocando una degenerazione delle caratteristiche del seme, è poi una bufala, perché nell’agricoltura moderna il caso del reimpianto come seme di parte della granella prodotta per usi commerciali è rarissimo, perché l’agricoltore sa che per assicurarsi una buona resa e garantire la qualità della granella prodotta deve utilizzare seme originale ottenuto da una industria sementiera.
Le ultime inquadrature del presidente Tonello che con sguardo perso nel vuoto afferma che SIS forse dovrà rinunciare ai suoi progetti, mi spingono a rivolgergli qualche parola di conforto: SIS SpA potrà continuare tranquillamente, anche dopo la sanzione dell’Antitrust, a moltiplicare e a commercializzare il seme di grano duro Senatore Cappelli finché avrà la concessione dal CREA.
Purtroppo, temo che anche questa volta sia Presa Diretta che Report abbiano perso l’occasione di descrivere quella che è l’agricoltura vera e il sistema agroalimentare di cui fa parte.
Corrado Giacomini
Economista agrario – Comitato di indirizzo del Corriere Ortofrutticolo
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