IL FUTURO DEL PACKAGING “PARLA” SOSTENIBILE: “SERVE UN’ECONOMIA CIRCOLARE”

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Futuro del packging, economia circolare, e sicurezza alimentare viaggiano di pari passo. È quanto emerso oggi nel corso della prima giornata del primo Forum Internazionale ‘Packaging speaks green’ in programma fino a domani a Fico Eataly Wolrd, progettato e realizzato grazie ad una collaborazione tra Fico e Ucima.

“Se pensiamo che da qui al 2050 il pianeta dovrà garantire la sicurezza alimentare per 10 miliardi di persone – ha spiegato Rosa Rolle, team leader Food Loos and waste della Fao – è inevitabile dovere intervenire anche sul packaging che è un elemento strategico nella catena di fornitura per garantire una riduzione degli sprechi e delle perdite di cibo”.

Nelle supply chain tradizionali, infatti, tipiche delle economie emergenti a basso reddito come quelle del Sud-est asiatico, si registrano sensibili perdite con sprechi che vanno dal 52%, ad esempio, per fagiolini e i cavolfiori, al 46% per il pomodoro; 38% per il mango e 29% per le banane. Questo dipende soprattutto dall’uso di packaging inadeguati come, ad esempio in Bangladesh dove il pomodoro, una volta raccolto in campo, viene conservato in sacchi di plastica”.

In realtà non esiste un modello di packaging ideale e, per la maggior parte degli operatori intervenuti, il completo abbandono della plastica non può essere la panacea di tutti i mali. Anzi potrebbe rivelarsi addirittura dannoso per l’ambiente se la soluzione alternativa eventualmente sviluppata non sia in grado di proteggere adeguatamente il contenuto.

“Una delle sfide in corso riguarda il peso e la dimensione del packaging – afferma Johannes Bergmair, segretario generale della Organizzazione mondiale del packaging – che devono tendere a ridursi ma se lo si fa troppo, si rischia di non svolgere più la sua funzione di protezione del prodotto contenuto. Occorre puntare su progetti di economia circolare e qui la cosa più difficile è sviluppare proprio il sistema di circolarità a cominciare dall’implementazione di collettori che raccolgono la plastica e la conferiscono ad impianti in grado di riciclarla e ritrasformarla in nuovi prodotti. Da questo punto di vista, siamo ancora indietro”.

Secondo i dati presentati da Nomisma, in Italia solo il 7% delle aziende di beni di largo consumo attuano pratiche di economia circolare ma complessivamente, ha spiegato Silvia Zucconi di Nomisma, “siamo un Paese che ha buone performance di circolarità economica con un tasso di riuso di materia circolare del 17%, superiore alla media europea del 12%. Il che ci colloca al terzo post tra i Paesi dell’Unione”.

Secondo i dati Nomisma il Belpaese è al primo posto nel ranking Ue per indice di produzione circolare (seguita da Inghilterra e Germania), al terzo per indice di consumo circolare (al primo posto c’è la Francia). Siamo, infine, al secondo posto in Europa per indice di investimenti ed occupazione in economia circolare, preceduti solamente dalla Germania.

La situazione giuridica globale sulla spinta alla sostenibilità, del packaging e in genere delle economie del pianeta si sta sviluppando a macchia di leopardo.

Nonostante ancora siamo lontani dal parlare di responsabilità civile per l’uso di packaging non sostenibili (se ne parla in Ue, India e Usa), l’Europa è il continente che viaggia all’avanguardia persino rispetto agli Stati Uniti dove il limite principale è dato dalla competenza legislativa in tema ambientale che è dei singoli stati e non federale.

“Solo nel 2019 il Congresso Usa ha introdotto la prima legge sul tema della sostenibilità del packaging prevedendo che debba essere riciclabile e compostabile – ha spiegato Mariagiovanna Vetere di Amaripen, assocazione statunitense focalizzata sulle politiche in tema di packaging per promuoverne un uso migliore, dei benefici e migliori funzioni – ma mancano ancora i decreti attuativi. Peraltro non si potrà fare mai una riflessione puntuale senza dati e negli Usa non esistono quelli relativi alla perdita e agli sprechi alimentari”.

In india la funzione di collettori della plastica è ancora affidata agli ‘stracciaioli, della casta degli intoccabili, che raccolgono la plastica per strada e la rivendono ai trasformatori mentre solo quattro Stati su quindici dell’Unione indiana hanno “bannato” i sacchetti di plastica.

L’Australia è arrivata a sviluppare un anno fa un programma che ha portato alla costituzione di un’etichetta denominata ‘Arl’ che è l’acronimo di Australasia Recycling Label a cui hanno già aderito 200 aziende e alte 200 sono pronte ad entrare.

“Si tratta di un programma di comunicazione ai consumatori – spiega Nerida Kelton, direttore esecutivo di Aip, l’Istituto australiano del packaging – sulle modalità del corretto smaltimento di ogni confezione. Il nostro obiettivo è ridurre massivamente le discariche nel Paese e, da qui al 2030 aumentare la percentuale del compost. Fra le altre iniziative abbiamo anche istitutito un Premio che si chiama Pida, Packaging innovation and designawards, che nel 2020 arriva al secondo anno”.

Il problema sul riciclo rimane sempre quello delle confezioni multimateriali che rappresenta una delle sfide del futuro, mentre si studiano soluzioni nuove e anche alternative alla plastica, che però al momento è l’unica che garantisce il maggior grado di sicurezza alimentare.

Intanto l’Europa, con il suo New Green Deal ha previsto una spesa di circa mille miliardi di euro con un pacchetto sulla sostenibilità che, per quanto riguarda il packaging ha già dato vita alla Direttiva contro le plastiche monouso. “E’ una strada molto difficile – ha spiegato Roberto Ferrigno, fondatore e direttore di Lumina – caratterizzata da aspre lotte al’inerno della Dg Ambiente anche i relazione alla possibilità di introdurre una responsabilità civile a carico dei produttori non solo sul prodotto in quanto tale ma anche sulla sua fine vita”.

Mariangela Latella

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