Un aiuto straordinario per i ritiri, e l’aumento delle indennità. Riportare le risorse non spese in anni di “non crisi” negli anni successivi, per aumentare la dotazione finanziaria ma anche per realizzare azioni di promozione più efficaci.
Poi una proposta shock: sospendere la produzione assieme a Francia, Spagna e Grecia per accendere i riflettori dell’opinione pubblica sul tema, ma anche ritiro della parte residuale di prodotto alle stesse modalità della beneficenza e anticipare la sperimentazione dei fondi di solidarietà, oltre ad un aiuto straordinario su base nazionale per ridurre il costo del lavoro e più protezione per il prodotto nazionale.
Tutto bene, tutto giusto (anche la proposta shock), tutto – forse – inutile. Davanti all’ennesimo disastro della campagna pesche e nettarine 2014 si affollano le proposte e le terapie al capezzale del malato, che ahimé versa in prognosi riservata ormai da anni. La nostra incapacità di risolvere i problemi è pari almeno alla rapidità con cui li dimentichiamo. E’ bastato un anno o due di prezzi solo accettabili per dimenticare lo stato pre-agonico in cui versa la nostra peschicoltura di massa, ormai surclassata ed emarginata dalla concorrenza spagnola sui mercati che contano in Europa e per le produzioni di medio-alto livello. E’ bastata la solita congiuntura di fattori negativi (meteo, sovrapposizioni produttive, caduta consumi, crisi) per far sprofondare il comparto nell’ennesimo dramma. E’ la legge di Murphy, di cui troppo spesso ci dimentichiamo: se qualcosa può andare storto, sicuramente ci andrà.
D’altronde che i nostri costi produttivi siamo 2-3 volte quelli spagnoli, lo sappiamo da tempo. Così come sappiamo che sono produzioni altamente deperibili, che gli strumenti anticrisi dell’Ocm non sono adeguati, che gli accordi interprofessionali e le campagne informative lasciano il tempo che trovano. Ormai la nostra leadership è reale solo sulla carta: sui mercati diventa un fattore negativo e oggi produrre pesche può significare mandare in malora l’azienda. In pratica rovinarsi per un prodotto “di cui siamo leader in Europa”. Bella consolazione! Per iniziare non dico a risolvere il problema, ma solo a metterci una pezza, servono la volontà degli uomini ma anche molte risorse. E a questo proposito lancio una proposta agli amici della Coldiretti, che sfornano un sondaggio al giorno. Facciamo i conti di quanto servirebbe al settore peschicolo (magari per avviare un Piano nazionale o per intervenire per tamponare il disastro) e di quanto ci è costato il disastro Alitalia o le quote latte, che tutti noi stiamo pagando come contribuenti (in tutto almeno 8-9 miliardi di euro). Così si misurerebbe il gap che divide l’esaltazione dell’agricoltura ‘immaginaria’ su giornali e tv dalla considerazione in cui viene tenuta l’agricoltura reale.
Via al bando del Masaf "Frutta e verdura nelle scuole" con 14 milioni di dotazione. A scanso di equivoci sarà bene specificare Frutta e verdura "fresca" nelle scuole *
IL DISASTRO DELLE PESCHE E LA LEGGE DI MURPHY
Un aiuto straordinario per i ritiri, e l’aumento delle indennità. Riportare le risorse non spese in anni di “non crisi” negli anni successivi, per aumentare la dotazione finanziaria ma anche per realizzare azioni di promozione più efficaci.
Poi una proposta shock: sospendere la produzione assieme a Francia, Spagna e Grecia per accendere i riflettori dell’opinione pubblica sul tema, ma anche ritiro della parte residuale di prodotto alle stesse modalità della beneficenza e anticipare la sperimentazione dei fondi di solidarietà, oltre ad un aiuto straordinario su base nazionale per ridurre il costo del lavoro e più protezione per il prodotto nazionale.
Tutto bene, tutto giusto (anche la proposta shock), tutto – forse – inutile. Davanti all’ennesimo disastro della campagna pesche e nettarine 2014 si affollano le proposte e le terapie al capezzale del malato, che ahimé versa in prognosi riservata ormai da anni. La nostra incapacità di risolvere i problemi è pari almeno alla rapidità con cui li dimentichiamo. E’ bastato un anno o due di prezzi solo accettabili per dimenticare lo stato pre-agonico in cui versa la nostra peschicoltura di massa, ormai surclassata ed emarginata dalla concorrenza spagnola sui mercati che contano in Europa e per le produzioni di medio-alto livello. E’ bastata la solita congiuntura di fattori negativi (meteo, sovrapposizioni produttive, caduta consumi, crisi) per far sprofondare il comparto nell’ennesimo dramma. E’ la legge di Murphy, di cui troppo spesso ci dimentichiamo: se qualcosa può andare storto, sicuramente ci andrà.
D’altronde che i nostri costi produttivi siamo 2-3 volte quelli spagnoli, lo sappiamo da tempo. Così come sappiamo che sono produzioni altamente deperibili, che gli strumenti anticrisi dell’Ocm non sono adeguati, che gli accordi interprofessionali e le campagne informative lasciano il tempo che trovano. Ormai la nostra leadership è reale solo sulla carta: sui mercati diventa un fattore negativo e oggi produrre pesche può significare mandare in malora l’azienda. In pratica rovinarsi per un prodotto “di cui siamo leader in Europa”. Bella consolazione! Per iniziare non dico a risolvere il problema, ma solo a metterci una pezza, servono la volontà degli uomini ma anche molte risorse. E a questo proposito lancio una proposta agli amici della Coldiretti, che sfornano un sondaggio al giorno. Facciamo i conti di quanto servirebbe al settore peschicolo (magari per avviare un Piano nazionale o per intervenire per tamponare il disastro) e di quanto ci è costato il disastro Alitalia o le quote latte, che tutti noi stiamo pagando come contribuenti (in tutto almeno 8-9 miliardi di euro). Così si misurerebbe il gap che divide l’esaltazione dell’agricoltura ‘immaginaria’ su giornali e tv dalla considerazione in cui viene tenuta l’agricoltura reale.
Lorenzo Frassoldati
direttore del Corriere Ortofrutticolo
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