HUELVA , IL “REGNO” DELLE FRAGOLE SPAGNOLE A RISCHIO INQUINAMENTO

Condividi

Si riaccende la polemica sull’inquinamento ambientale della provincia di Huelva (Spagna) ed in particolare nell’estuario del Rio Tinto. Una zona molto importante per la Spagna perché produce il 50% delle fragole (circa 3mila ettari) del Paese che – con una spedizione annua di oltre 300mila tonnellate – è il primo esportatore mondiale di questo prodotto verso i mercati di tutto il mondo.

È il quotidiano nazionale El mundo a rilanciare la denuncia degli ambientalisti della provincia riuniti nell’associazione Mesa de La Ria e supportati anche da Greenpeace, con un articolo del 30 maggio scorso.

“Uno studio dell’Università di Huelva e dell’Istituto andaluso di Scienze della Terra dell’università di Granada – si legge nell’articolo – conferma che esiste una connessione tra gli invasi di decantazione di fosfogesso e l’estuario del Rio Tinto, il che contribuisce ad una contaminazione di questo fiume”.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Water Research, rileva che gli invasi di fosfogesso, che si trovano all’interno delle paludi dell’estuario, non hanno alcuna barriera impermeabile per impedire il deflusso nell’ambiente circostante delle sostanze inquinanti che trasportano e sostanzialmente derivato dalla produzione di fertilizzanti a base di fosforo. L’inquinamento delle acque si aggrava quando si verificano fenomeni di alta marea oppure di elevata piovosità come è accaduto nel corso dell’inverno appena concluso. Non è ancora noto quanto il cambio climatico in corso, con l’innalzamento delle acque o cambio della direzione delle onde, possa influenzare in peggio questa situazione di inquinamento.

Nell’occhio del ciclone l’azienda Fertiberia, principale produttrice europea di fertilizzanti, che in quell’area ha la propria sede produttiva e che utilizza gli invasi contestati, per lo smaltimento dei rifiuti industriali derivati dalla produzione dei fertilizzanti a base di fosforo che estrae proprio nelle miniere di Huleva.

In una denuncia del primo giugno, l’associazione di Mesa de La Ria precisa: “Questo studio corrobora le nostre denunce nelle quali, con relazioni apposite, documentiamo che il sistema di scarichi utilizzato da Fertiberia, non ha mai soddisfatto il requisito legale dell’azzeramento delle discariche. Un problema che si verifica ininterrottamente all’inizio dell’attività dell’azienda, che risale agli anni ’60”.

A Palos de la Frontera, che si trova proprio sull’estuario del Rio Tinto, opera la Comunità degli irrigatori di Palos de La Frontera che aggrega il 53% dell’intera produzione di fragole della provincia ed il 65% della sua commercializzazione e che attinge al Rio Tinto per l’irrigazione dei campi con un fabbisogno idrico stimato che si aggira intorno ai 5mila metri cubi per ettaro durante tutta la campagna che va dai primi di ottobre fino alla fine di maggio. A questo si aggiungano le concessioni di prelievo per la filiera locale agrumicola (circa 5mila m3 per ettaro a stagione); ortaggi a campo aperto (4mila m3/ha) e per le serre (circa 4mila m3/ha).

L’inquinamento della zona (dove peraltro è attivo anche il polo petrolchimico) è stato denunciato da tutte le istituzioni spagnole e su di esso la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione.

“Questi continui versamenti inquinanti stanno creando danni alla salute della popolazione e all’ambiente – continua la nota del comitato Mesa de La Ria – in un’area sensibile come il Golfo di Cadice, dove già si registra un tasso di incidenza di malattie come il cancro, superiore al resto dell’Andalusia”.

Il problema principale deriva dagli elevati costi di risanamento della zona di cui difficilmente si potrebbe trovare qualcuno disposto a farsi carico.

“Se si eccedono i limiti di qualità ambientale – precisa Roberto Pinton di Assobio nonché titolare dello studio di consulenza Organic Consulting – bisogna prestare particolare attenzione anche se andrebbero fatte delle analisi puntuali sugli impianti produttivi. Bisogna anche vedere quali sono i limiti fissati dalla normativa nazionale oltre che europea ma soprattutto individuare i tempi di biodegradabilità del fosforo che sono influenzati anche dalla temperatura del sito, ad esempio, che peraltro a Huelva supera i 40 gradi d’estate, dalla salinità o dall’alcalinità dell’acqua. Certo è che se le colture in questione si sono svolte senza rotazioni per rispondere meglio alla velocità del mercato, il rischio che si può verificare è anche quello della presenza metalli pesanti nell’ambiente come cadmio o arsenico che sono scarti della produzione di fertilizzanti. Si tratta di metalli non biodegradabili e che quindi si accumulano nel terreno. In linea generale, inoltre, la mancanza di rotazione, inoltre, favorisce il processo di proliferazione di parassiti che fa aumentare la necessità di impiego di diserbanti ceando così un circolo vizioso”.

Mariangela Latella

Sfoglia ora l'Annuario 2024 di Protagonisti dell'ortofrutta italiana

Sfoglia ora l'ultimo numero della rivista!

Join us for

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER QUOTIDIANA PER ESSERE AGGIORNATO OGNI GIORNO SULLE NOTIZIE DI SETTORE