GRAZIE ALLE BIOTECNOLOGIE “BUONE”, ESALTEREMO LA BIODIVERSITÀ E RIDURREMO L’USO DELLA CHIMICA

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Sulla differenza che corre tra Nbt, o Tea, e Ogm, è ora di tracciare una volta per tutte una netta linea di demarcazione, come ha recentemente fatto la Commissione europea. E chi si ostina ad assimilare gli Organismi geneticamente modificati con le New breeding techniques, o Tecniche di evoluzione assistita, richiamando il principio di precauzione, o non ha ancora ben compreso cosa è successo negli ultimi vent’anni, o non è informato correttamente.

Il dibattito sul confronto tra queste tecnologie, diventato particolarmente acceso dopo una sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2018, va bene. Ma certe prese di posizione, che ormai sono di retroguardia, e talvolta alimentate da un’informazione fuorviante, francamente non sono più sostenibili. Il principio di precauzione richiamato da alcune associazioni ambientaliste e del settore biologico è lo stesso che tutti noi, in Italia, decidemmo di anteporre anni fa quando mettemmo al bando gli Ogm, ritenendoli non necessari. E lo stesso principio di precauzione viene rispettato dalle nuove biotecnologie agrarie, come le Tea, che ormai sono conosciute da vent’anni e per le quali nel 2020 le due ricercatrici sono state insignite del Premio Nobel, semplicemente perché la comunità scientifica internazionale ha riconosciuto lo straordinario contributo nella creazione di nuove varietà nel solco del miglioramento genetico tradizionale in quanto non spostano geni da una specie all’altra: lo stesso che, ad esempio, ha consentito di individuare nei secoli nuove cultivar di grano, o varietà di frutta e uve resistenti alle malattie che flagellavano i raccolti.

E’ grazie a queste tecnologie e alla conoscenza del genoma di molte colture che sarà possibile esaltare la biodiversità e ridurre l’impiego della chimica nei campi. Tra l’altro, queste tecnologie non richiedono investimenti colossali, sostenibili solo dalle multinazionali, consentendo di mettere a punto nuove varietà anche a istituti sperimentali e piccole aziende sementiere e produttrici di presidi fitosanitari. Insomma con le nuove biotecnologie agrarie metteremo la parola fine ai cosiddetti ‘Frankenstein Food‘, varietà costruite mischiando geni provenienti da specie diverse o addirittura geni del mondo animale e vegetale. Gli Ogm, ricordiamolo, sono prodotti ottenuti dalla combinazione di geni tra specie diverse attraverso la transgenesi. Mentre la mutagenesi, alla base delle Tea, non prevede lo spostamento di geni e le nuove varietà sono ottenute senza alterare il patrimonio genetico della specie: non è affatto contro natura, è una naturale estensione del tradizionale miglioramento genetico e ha l’enorme vantaggio di accorciare i tempi per la messa in commercio di nuove varietà più resistenti a stress climatici e a carenza d’acqua. Obiettivi, questi, che a ben vedere sono anche quelli indicati nella strategia ‘Farm to Fork’ lanciata dall’Unione europea nel quadro del New Green Deal: un patto fra agricoltori e consumatori, dal campo alla tavola, supportato anche da queste tecnologie per raggiungere target ambiziosi, come la riduzione del 50% di fitofarmaci e del 20% di fertilizzanti chimici, e l’aumento ad almeno il 25% della superficie coltivata con metodo biologico.

Paolo De Castro

Ordinario di Economia e politica agraria all’Università di Bologna, più volte ministro delle Politiche agricole e da 11 anni deputato al Parlamento europeo, dove è stato anche presidente della Commissione Agricoltura

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