GRANATA, DALLE VALLI TRENTINE AL NUOVO POLO DELLE PERE DI APO CONERPO

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Il modello Melinda per rilanciare la pera emiliana? La grinta e l’indubbio carisma di Luca Granata per mettere ordine e riuscire a fare squadra in un mondo cooperativo dove, pur sotto lo stesso tetto, ognuno è andato un po’ per la sua strada? Un nuovo marchio e una nuova aggregazione per ridare slancio (e redditività) alla regina delle pere, l’Abate, uscita malconcia dalle ultime campagne?

Tanti gli interrogativi alla notizia delle dimissioni del manager rodigino dal consorzio di Cles (leggi news) dove era entrato nel 2002 con un contratto a tempo della durata di tre anni e che in 13 anni è diventato un paradigma, il modello Melinda, esperienza pionieristica e aggregativa unica e forse irripetibile, esempio virtuoso di cosa si deve fare nel mondo dell’ortofrutta per avere successo, per remunerare il lavoro dei produttori, per valorizzare il territorio, per soddisfare il consumatore.

Granata il gusto della sfida lo ha sempre avuto, lui uomo della pianura chiamato tra le valli trentine per valorizzare le mele della Val di Non “uniche al mondo come i diamanti della De Beers”, diceva. Consapevole però che la qualità, l’unicità, l’eccellenza non bastano. “Se a questo prodotto si aggiungono strategie commerciali e di marketing assimilabili a quelle di altre aziende che operano su mercati complessi, ne esce un mix difficilmente battibile”. E così è stato, attraverso un percorso di aggregazione delle cooperative di base e di grandi investimenti in due piani industriali (totale 180 milioni dal 2002 ad oggi) che hanno re-industrializzato e razionalizzato tutta la lavorazione prodotto e lo stoccaggio delle strutture delle 16 cooperative consorziate con soluzioni tecnologiche d’avanguardia. Il tutto affiancato da una massiccia campagna di investimenti nel marketing e nella comunicazione che hanno fatto di Melinda forse il brand più conosciuto della frutta italiana.

Ora tutto questo bagaglio di esperienze si trasferisce in Emilia, forse a Bologna, nella sede del gruppo Apo Conerpo, la nuova ‘casa’ di Granata. L’operazione – i cui particolari saranno ufficializzati nei prossimi giorni – vede la nascita di una newco, un nuovo polo cooperativo delle pere dove dovrebbero confluire tutte le imprese del mondo bianco di Confcooperative, da Fruit Modena Group a Patfrut, Naturitalia, etc. Una aggregazione da 1,2-1,3 milioni di quintali di pere di cui Granata sarà il dominus, con un unico ufficio commerciale e la messa in cantiere di un marchio da lanciare attraverso azioni di marketing e comunicazione. Una offerta innovativa con l’obiettivo di incrementare il valore aggiunto per i produttori (per evitare quello che sta succedendo per le pesche, cioè il progressivo abbandono della produzione) rilanciando i consumi in Italia e sui mercati esteri, dove oggi soffriamo la maggiore intraprendenza e organizzazione di olandesi e belgi con la loro Conference. L’aggregazione si propone ‘aperta’ ad adesioni anche al mondo al di fuori di Confcooperative.

E qui si pone il problema dei rapporti con l’altro consorzio della pera italiana di qualità riunito sotto il marchio PeraItalia. Alcuni dei soci del consorzio guidato da Luciano Torreggiani forse confluiranno nella newco di Granata, ma bisognerà vedere cosa faranno grandi protagonisti del settore come Salvi, Spreafico, Zani, Opera, in grado oggi di garantire comunque a PeraItalia una base produttiva di più di mezzo milione di quintali di prodotto. Senza tenere conto che PeraItalia è già operativa, avendo messo in cantiere una serie di iniziative innovative legate all’immagine, al packaging e alla penetrazione sui mercati esteri. In prospettiva al momento si delineano due grandi poli, con due marchi, per rilanciare e valorizzare la pera italiana di qualità. Poi chi vivrà vedrà.

 

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

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