GLI ORTAGGI VALGONO IL 14% DEL FATTURATO DEL SETTORE AGRICOLO: TUTTI I NUMERI DEL COMPARTO

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Il settore degli ortaggi vale circa il 14,2% del fatturato complessivo dell’agricoltura contro l’8,3% della frutta, il 2% degli agrumi e l’1,4% delle patate: è quanto emerge dalla rilevazioni Ismea su dati Istat aggiornate al 2020.
In termini assoluti la produzione vale 8,1 miliardi di euro, valore analogo a quello della fase di trasformazione: in questo caso, l’industria degli ortaggi “pesa” il 5,5% dell’industria alimentare nel suo complesso, contro lo 0,7% dei trasformati di frutta e agrumi.
Le aziende agricole che producono ortaggi sono poco più di 86mila, un numero sostanzialmente stabile negli ultimi tre anni; la dimensione media è di 3,5 ettari ad azienda con un dato di 387mila ettari in pien’aria e 37.870 ettari in colture protetta.
I quantitativi prodotti nel 2020 hanno superato di poco quota 12 milioni di tonnellate, in crescita del 3% sul 2019: in progresso soprattutto i volumi provenienti dalle superfici scoperte (10,7 milioni di tons, +3,5%) mentre si registra stabilità nelle serre (1,4 milioni di tonnellate). Ancora basso il peso delle denominazioni DOP e IGP: non va oltre il mezzo punto percentuale.
Gli ortaggi a indicazione d’origine più importanti, in termini produttivi, sono nell’ordine cipolla rossa di Tropea (oltre 20mila tonnellate nel 2019), pomodoro di Pachino (9mila tons), pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino (7,5 mila tons), basilico genovese, carota del Fucino, carota Novella di Ispica e cipolla Bianca di Margherita. Chiudono la top ten radicchio Rosso di Treviso, aglio Bianco Polesano e radicchio Variegato di Castelfranco.
In termini economici, però, la classifica è diversa. Gli ortaggi IG nel 2019 valevano circa 55 milioni di euro, pari al 17% del valore delle produzioni ortofrutticole IG; spiccano per fatturato aglio Bianco Polesano, aglio di Voghiera, radicchio variegato di Castelfranco e cappero di Pantelleria.
Secondo CSO Italy i consumi di ortaggi nel 2021 non sono andati oltre i 48 chili pro capite, con una spesa media di 97 euro a persona. La distribuzione moderna nel 2020 (dati Istat) commercializzava circa il 68% degli ortaggi freschi destinati al consumo, contro il 32% del dettaglio tradizionale e il 9% dell’HORECA.
A livello geografico, il Sud e le Isole sono le aree più importanti in termini di aree e produzione, con una quota rispettivamente del 65% e del 59%; il Centro Nord fa segnare rispettivamente 35% e 41%. Puglia (21% di superfici e 23% di produzione), Sicilia (17% e 11%), Emilia Romagna (123% e 18%), Campania (10% per entrambe le voci) e Lazio (7 e 8%) le regioni di punta.
Sul fronte import export il 2021 ha visto una buona performance estera di legumi e ortaggi italiani sia in valore (1,55 miliardi di euro, +11,9% sul 2020) sia in quantità (931mila tonnellate, +2,7%). Le importazioni sono rimaste stabili in volumi (1,2 milioni di tons il dato assoluto) ma sono cresciute in fatturato (931 milioni di euro, +5,5%).
Ma quali sono punti di forza e debolezza delle orticole nazionali? Tra i primi, emergono vocazione produttiva del territorio, elevato grado di diversificazione della produzione (specie e varietà); ampi calendari di raccolta e commercializzazione; buona propensione all’export di alcune produzioni orticole (insalate, soprattutto IV gamma, brassicacee, etc); produzioni peculiari e con grande riconoscibilità come pomodori pelati, polpe, o conserve sott’olio (ad es. carciofi; alta propensione all’innovazione per alcuni prodotti freschi e trasformati (IV, V gamma, nuove varietà di pomodori, come il datterino giallo, ecc.); forte legame tra territorio e produzioni tipiche.
Tra i punti di debolezza ci sono bassa capacità aggregativa, soprattutto nel Mezzogiorno, dove si concentra l’offerta; dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime (soprattutto patate);filiere frammentate caratterizzate dalla presenza di un elevato numero di grossisti e di intermediari; squilibri di filiera, con un eccessivo potere di mercato della GDO, che si ripercuote nella fase agricola sia per i freschi che per i trasformati; tete infrastrutturale e organizzazione logistica inadeguata, soprattutto perché buona parte della produzione è nel Mezzogiorno.
La forte competizione dei Paesi mediterranei e il calo dei consumi, insieme alle anomalie climatiche, rappresentano le principali minacce.
Il prossimo numero del Corriere Ortofrutticolo dedicherà uno specifico Focus alle Orticole.
Mirko Aldinucci 

 

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