GLI ARABI TORNANO IN SICILIA. DIETRO L’OPERAZIONE CHE HA PORTATO UNIFRUTTI (E ORANFRIZER) NEL CONTROLLO DI UNA HOLDING DI ABU DHABI

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Gli arabi tornano in Sicilia? Almeno come investimento, pare proprio di sì. Infatti il gruppo Oranfrizer, uno dei grandi player italiani degli agrumi, già a ottobre 2020 passato sotto il controllo della multinazionale Unifrutti delle famiglie De Nadai e Mondin, adesso assieme alla sua controllante è finito sotto il controllo di ADQ, società di investimento e holding con sede ad Abu Dhabi, fondata nel 2018, con un ampio portfolio finanziario di grandi imprese.

I suoi investimenti abbracciano settori chiave dell’economia diversificata degli Emirati Arabi Uniti, tra cui energia e servizi pubblici, cibo e agricoltura, sanità e scienze della vita, mobilità e logistica. “Come partner strategico del governo di Abu Dhabi – dice una nota stampa ufficiale –  ADQ è impegnata ad accelerare la trasformazione degli Emirati in un’economia globalmente competitiva e fondata sulla conoscenza”.

Unifrutti parla di un “nuovo capitolo” per una nuova fase di crescita del gruppo. Per ADQ Gil Adotevi, direttore esecutivo per i settori “Food and Agriculture”, commenta : “Stiamo sviluppando il nostro portfolio di prodotti alimentari e agricoli con l’obiettivo di generare forti rendimenti finanziari, rafforzando al contempo la resilienza alimentare negli Emirati Arabi Uniti”. Insomma un grande investimento finanziario che lascerà il management di Unifrutti (e quello di Oranfrizer) liberi di continuare a fare il loro mestiere: crescere sui mercati internazionali, presidiare il segmento delle produzioni di qualità, dei processi e dei prodotti, l’attenzione alla sostenibilità, e quindi realizzare buoni guadagni per gli azionisti.

Nel recente webinar su Ortofrutta e Finanza organizzato dal nostro giornale abbiamo parlato proprio di questo, dei capitali che i fondi di private equity investono nelle aziende non per fare beneficenza, ma per trarre profitti e magari rivendere le quote dopo che si sono valorizzate. Il tema c’è tutto e abbiamo visto lontano affrontandolo per primi. La partecipazione al webinar di primarie imprese del settore ha confermato l’interesse. I capitali che guardano anche al settore dell’ortofrutta sono ossigeno per la crescita, a maggior ragione in questo momento di squilibrio mondiale. L’ortofrutta è considerata un settore ‘resiliente’, in linea con le esigenze di benessere della moderna alimentazione, ed è e resta un settore globale , un business planetario, come sta dimostrando il ritorno degli operatori a Fruit Logistica.

L’ingresso dell’investitore del Golfo Persico, supportato (non avversato) dal management e dal board di Unifrutti, dovrebbe consentire all’azienda di avviare un ulteriore sviluppo internazionale. Lo stesso (penso) si possa dire per Oranfrizer. Quando nell’ottobre 2020 Oranfrizer entrò in Unifrutti il ceo Sebastiano Alba dichiarò: “Per crescere all’estero ed ovviamente in Italia potenzieremo l’intera filiera della produzione. Il nostro lavoro, avviato circa 60 anni fa, per valorizzare gli agrumi della Sicilia ed altri frutti coltivati in zone vocate della nostra Isola, continua”. Più chiaro di così. Quindi aspettiamoci che questo tipo di operazioni aumentino nel mondo privato, dove la necessità di capitali sta diventando un fattore strategico per crescere e resistere in un mare in tempesta. La questione è diversa per il mondo cooperativo che nell’attuale congiuntura dovrà continuare a stringere la cinghia, razionalizzare, tagliare i costi, innovare, non potendo per sua natura aprire il capitale all’esterno.  Forse, piuttosto,  assisteremo ad una accelerazione dei processi di aggregazione  in questo mondo.

La finanza guarda con sempre maggiore attenzione all’agricoltura e quindi anche all’ortofrutta. Qualche operazione c’è già stata, quelle più eclatanti sono avvenute nel mondo del vino. L’attenzione dei fondi pensione, fondi di private equity e altri investitori professionali è motivata dalla ricerca di beni-rifugio, quale è certamente l’agribusiness, solido, anticiclico, tale da garantire buoni ritorni sui grandi numeri e che gode di politiche fortemente sussidiate dalla Comunità europea. In Italia è appena sbarcata Cbre, grande multinazionale di servizi commerciali e investimenti per il real estate, mettendosi alla caccia di buone occasioni soprattutto al Sud, dove i prezzi della terra sono più convenienti e la proprietà è più frammentata. La terra diventerà sempre più un asset importante perché è un bene finito e perché di food ci sarà sempre bisogno (vedi la Cina che si è comprata mezza Africa) . L’Italia è un paese di specialities e di nicchie produttive ma anche di imprese famigliari spesso fortemente sottocapitalizzate e che hanno bisogno di capitali per crescere , innovare e continuare a fare bene il loro mestiere. Insomma, siamo delle prede ideali.

Lorenzo Frassoldati

direttore@corriere.ducawebdesign.it  

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