GAROFANO, FALCUCCI, SIMONETTI, VELARDO: LA PAROLA AI PRODUTTORI DEL POMODORO DA INDUSTRIA DEL SUD

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L’Italia è il secondo produttore mondiale di pomodoro da industria, dopo gli Stati Uniti, con il 13% dell’output globale e il 50% di quello europeo. Nel 2019 a fronte di 64.528 ettari messi a coltura sono state prodotte circa 4,8 milioni di tonnellate di pomodoro destinato alla trasformazione industriale, equamente ripartite tra bacino Centro Sud (50,7%) e bacino Nord (49,3%). In termini di esportazione il primato è assoluto, grazie a un fatturato annuo di circa 1,7 miliardi di euro generato dalle vendite in UE, USA, Giappone e Australia.
“L’industria nostrana è uno dei punti di forza dell’agroalimentare italiano; oltre a soddisfare il fabbisogno interno (35 kg pro capite/anno) destina più del 50% delle proprie produzioni all’estero”, dichiara orgoglioso Giovanni De Angelis, direttore di ANICAV, l’Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali.
Una filiera storica, che vale circa 3,5 miliardi di euro, conosciuta nel mondo per la qualità e l’eccellenza del prodotto finale, ma che trova nell’incomprensione e nella disaggregazione tra i diversi anelli della catena – e talvolta anche all’interno degli stessi – la sua principale criticità. Uno scenario stressato dalle complicazioni da Covid-19 e dall’allarme siccità in alcuni territori vocati, che nel distretto del Centro Sud Italia hanno portato a lunghissime ed estenuanti trattative per l’accordo sui prezzi di riferimento all’origine. Al Nord l’agreement è stato raggiunto a metà febbraio, chiuso a 87 euro a tonnellata più 1 euro di costi aggiuntivi per l’industria.
A giocare un ruolo rilevante nella trattativa al tavolo del Meridione, il contratto triennale sancito tra la Princes Industrie Alimentari, importante realtà foggiana di proprietà anglo-nipponica, e Coldiretti. Un patto chiuso a 121 euro a tonnellata per il tondo e 125 euro/tons per il lungo se consideriamo anche il potenziale premio di 15 euro/ton per il rispetto dei quantitativi previsti. “Una mossa discutibile che riguarda la sola zona compresa tra il Foggiano, il Molise e la Basilicata, con quantitativi intorno alle 300 mila tonnellate di prodotto, imparagonabili al totale produttivo pari a circa 2,6 milioni di tonnellate del Centro Sud”, commenta Angelo Garofano, presidente di APOC Salerno, organizzazione di produttori campana con all’attivo circa 2.000 ettari dedicati alla produzione di pomodoro da industria. “Credo sia inappropriato paragonare tale iniziativa a un’azione del comparto, prendendola come esempio nelle trattative e distraendo di fatto il tavolo dal vero obiettivo di coesione finale della filiera”, precisa il presidente di APOC Salerno.
Pur sorvolando sul singolo episodio, resta il fatto che quest’anno, per la prima volta, non si è arrivati a una soluzione definitiva sui prezzi. Dopo mesi di negoziazioni, prolungatesi a causa dello stop imposto dall’epidemia, la fumata nera ha chiuso tutti i tavoli riunitisi nelle settimane pre-campagna. La stagione del pomodoro da industria 2020 nel bacino del Centro Sud si svolge dunque sotto precise indicazioni in merito alle modalità di raccolta, agli obiettivi produttivi, ai parametri qualitativi e alle tempistiche di consegna ma senza un accordo scritto e condiviso circa le quotazioni all’origine. Un tacito concordato tra produttori e industria pone i prezzi mediamente intorno ai 105 euro a tonnellata per il tondo e 115 euro/tons per il lungo.
A questo punto però una domanda sorge spontanea: come si giustifica un differenziale di prezzo tanto elevato tra i due bacini produttivi del pomodoro trasformato made in Italy? “Al Nord i pomodori si raccolgono alla rinfusa poiché destinati soprattutto a concentrati, passate e polpe, mentre al Centro Sud la produzione è perlopiù riservata all’industria del pelato. In questo caso l’attenzione al post raccolta deve essere superiore per mantenere intatta l’integrità del prodotto finale, che viene posto in bins da 250 chili. Un’accortezza che provoca una ricaduta sui costi del produttore, sui quali incidono anche i canoni di locazione e le spese per il rifornimento idrico più elevate rispetto ai colleghi del Nord Italia. Senza contare i costi della manodopera, superiori a qualsiasi altro Paese produttore, quelli legati all’impiego di principi attivi, dei trattamenti o riconducibili all’innovazione del processo produttivo”, risponde Matteo Falcucci di OP Ortofrutta Sol Sud, realtà molisana di Termoli con circa 400 soci interessati dalla produzione di pomodoro in oltre 3.000 ettari tra Marche, Umbria, Toscana, Molise, Abruzzo, Campania, Puglia e la Provincia di Crotone e una produzione per il 65% dedicata al pelato, per il 30% al tondo e per il restante 5% al datterino.
Differente il parere del direttore generale di ANICAV De Angelis: “La nostra filiera riconosce la qualità della materia prima pagando, da sempre, prezzi ben superiori rispetto a quelli corrisposti in altri Paesi produttori: in Spagna quest’anno la quotazione, franco partenza, è di 70 euro a tonnellata, in Portogallo di 76 euro/tons mentre in California è pari a 74,40 euro a tonnellata. Per il 2020 la richiesta della parte agricola del bacino Centro Sud Italia è arrivata ad essere di 130 euro/tons per il pomodoro tondo e 140 euro/tons per il lungo, un differenziale non giustificabile. Il prezzo medio di riferimento che l’industria organizzata ha sviluppato per il bacino produttivo del Centro-Sud, sulla base di una puntuale analisi, è di 100,00 euro/tons, 110,00€/tons e 185,00€/tons rispettivamente per pomodoro tondo, pomodoro lungo e pomodorino, con un differenziale di 12 euro/tons sul pomodoro tondo ( ulteriori 3 euro in più rispetto al 2019) tra Nord e Sud Italia”.
Trovare un’intesa sarebbe stato importante anche per evitare conseguenze pesanti in termini speculativi. Il rischio, infatti, persiste al rialzo tanto quanto al ribasso. D’altra parte, nel 2019, nonostante gli accordi si fossero chiusi a 95 euro/tons per il tondo e 105 euro a tonnellata per il lungo, a fine campagna si è arrivati a pagare fino a 130 euro/tons. “Evitare speculazioni contrattuali è una forma di tutela a vantaggio di tutti, produttori e trasformatori. Proprio per questo avevamo proposto, purtroppo senza seguito, di istituire un Comitato di Monitoraggio Contrattuale all’interno dell’OI con il compito di segnalare eventuali anomalie che possono verificarsi in corso di campagna”, precisa il direttore generale di ANICAV.
Ma come procede la stagione di raccolta nel Distretto del Sud? “Questione prezzi a parte, il caldo eccezionale registrato tra la fine di luglio  e i primi giorni di agosto in tutto il Sud Italia e lo stress da carenza idrica dovuto al razionamento dell’acqua in certi areali di primo piano potrebbe avere conseguenze importanti sia sulla qualità sia sulla quantità delle produzioni. L’entità del danno tuttavia è al momento impossibile da ipotizzare. Ancora tutto può succedere, aspettiamo e speriamo che le temperature si abbassino un po’ e al più presto. Per ora, possiamo solo dire con certezza, che le uniche produzioni risparmiate sono quelle del pomodoro precoce dell’area casertana, raccolte prima dell’arrivo dell’ondata di caldo”, spiega Luciano Simonetti, presidente di APOPA, l’Associazione di produttori partenopea con all’attivo 2.300 ettari di pomodori da industria (60% varietà tonde e 40% lunghe).
La crisi idrica a cui fa riferimento Simonetti è legata al razionamento dell’acqua alla diga di Occhito del Fortore, che minaccia la produzione nella Capitanata (Foggia), areale da dove proviene il 40% del pomodoro da industria made in Italy. Tuttavia, l’eventualità di limiti all’approvvigionamento idrico ha rappresentato un’incognita fin dalla fase pre-raccolta e, proprio per questo, sono stati piantati pomodori in altre zone vocate in Regioni limitrofe così da compensare a livello distrettuale il possibile ammanco di prodotto foggiano.
“Nei fatti la situazione creatasi nell’immediata vigilia della campagna, per la mancata ratifica formale di un accordo sui prezzi, ha in egual modo reso insoddisfatte le parti al tavolo. Tuttavia fatta eccezione per una, forse due, aziende di trasformazione si è comunque trovato un nesso comune e condiviso nei contratti realizzati tra OP e trasformatori. Ma questo è già storia; avremo sicuramente modo di trovare nuove opportunità di riflessione”, precisa Simonetti.
E per il futuro? Su un punto le parti sembrano essere concordi: per la sopravvivenza stessa del comparto non è possibile continuare a dilapidare l’immagine, il prestigio, la storia e il know how di questo comparto rincorrendo prezzi al ribasso sugli scaffali della GDO e diventando di fatto un prodotto commodity. “Intraprendere la strada della promozione e comunicazione di filiera alla ricerca del giusto posizionamento e di un prezzo congruo al valore intrinseco della nostra proposta è per noi un dovere; ne va del futuro stesso del pomodoro trasformato tricolore”, dichiara Gennaro Velardo, presidente dell’Unione Nazionale Italia Ortofrutta e direttore dell’OP AOA, l’organizzazione di produttori di Scafati (Salerno) che per la campagna 2020 prevede un raccolto intorno a 350 mila tonnellate di pomodoro da trasferire all’industria, a fronte di 3.800 ettari di terreni dedicati.
Nonostante il mancato accordo quadro sui prezzi, i presupposti per un percorso di crescita sembrano tuttavia esserci. Chi vivrà vedrà.
Chiara Brandi

 

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