Nell’azienda di Nicola Servadei (nella foto), produttore frutticolo di Faenza, si coltivano frutteti dagli anni Settanta. Ora però è tempo di abbattimenti delle piante da frutto: i costi sempre più alti e le tutele quasi inesistenti ha reso del tutto anti economico produrre.
Così i 50 ettari coltivati fino ai primi anni Duemila, nel 2023 saranno solo la metà. Questa la decisione dell’imprenditore ortofrutticolo faentino, intervistato da SkyTg24, che sta vivendo una condizione purtroppo comune a molti produttori: basti pensare che secondo i dati di Confagricoltura negli ultimi 15 anni le produzioni ortofrutticole in Emilia Romagna si sono ridotte del 40%.
La crisi che stanno vivendo le nettarine, la vivranno presto anche susine e albicocche, giusto per citare altre due produzioni importanti in una delle regioni ortofrutticole più vocate d’Italia.
“Abbattendo le piante almeno si riducono le perdite – confessa con amarezza Servadei, che rivela: “Ogni tre ettari che abbatto è un posto di lavoro diretto che perdo. A questo punto stiamo seriamente pensando di reintrodurre i cereali”.
Tra cambiamenti climatici, con siccità alternati ad eventi estremi con grandinate devastanti e nubifragi, aumento del costo della manodopera e l’ultimo salasso del caro energia, ha reso la situazione insostenibile: “Abbiamo costi energetici di tremila euro ad ettaro, per nulla controbilanciate dai prezzi ottenuti dal prodotto”, osserva Servadei che poi ricorda come l’Europa abbia dimezzato i principi attivi da poter utilizzare nei campi: “In più la GDO acquista prodotti solo se senza determinati principi attivi, sebbene questi siano legali. Così si crea una strozzatura impossibile da sostenere”.
“Chiediamo aiuti in tempi rapidi. Servirebbe una grande riforma della frutticoltura. Non possiamo far produrre a Paesi stranieri quello che vogliamo fare in Italia. Servono sì regole stringenti a tutela dell’ambiente, ma che siano applicabili nel concreto”. (e.z.)
