Allora non è più un marchio ma si parla di un “segno”, il che è una buona notizia. Nel pacchetto agroalimentare inserito nel decreto Sblocca Italia – messo a punto dal Ministero dello Sviluppo economico con il Mipaaf – ci sono le norme di “Promozione straordinaria Made in Italy” e tra le quattro direttrici di intervento c’è la “realizzazione di un segno distintivo unico per le produzioni agricole e agroalimentari al fine di favorirne la promozione all’estero e durante l’Esposizione Universale 2015”.
Quindi non si parla più di un marchio del made in Italy (idea lanciata dal santone-mercante Oscar Farinetti) aggiuntivo alla pletora di bolli e bollini già oggi correnti sul mercato ma di qualcosa di diverso, più ‘leggero’ e forse più efficace. E in grado di non sollevare liti e contenziosi con eventuali altri possessori di marchi del genere (pare che ce ne sia uno). Allora, oltre al ‘segno’, nel provvedimento sono 3 le direttrici di intervento previste specificamente per il sostegno del food&wine italiano nel mondo: valorizzazione delle produzioni di eccellenza, in particolare agricole e agroalimentari, e tutela all’estero dei marchi e delle certificazioni di qualità e di origine delle imprese e dei prodotti; sostegno alla penetrazione dei prodotti italiani nei diversi mercati, anche attraverso appositi accordi con le reti di distribuzione; realizzazione di campagne di promozione strategica nei mercati più rilevanti e di contrasto al fenomeno dell’Italian sounding.
Tutto questo – dice il ministro Martina – per far decollare l’operazione “Quota 50”, “perché vogliamo aiutare le aziende a fare un salto di qualità e aumentare il fatturato delle esportazioni dai 33 miliardi del 2013 ai 50 che si possono realizzare nel 2020”. Tutto bene, anzi benissimo: la lotta al falso Made in Italy, la riconoscibilità delle produzioni italiane, il segno distintivo… Poi le piattaforme logistico distributive e gli accordi con le reti di distribuzione all’estero. Il comunicato del Ministero (datato 29 agosto) è un fiume in piena e propone interventi del tutto condivisibli e attesi da tempo. Peccato che non venga fatto un numero che sia uno. Quanto costa tutto questo? Verosimilmente serve un fiume di denaro: c’è una previsione di spesa e di relativa copertura? Altrimenti siamo al libro dei sogni. Poi per stare all’ortofrutta che al piano “Quota 50” può dare una spinta decisiva: qualcuno si sta occupando di quanto incidono sul settore gli interventi finora approvati dal governo, da #campolibero a questo piano per il made in Italy, al futuro collegato Agricoltura alla Legge di stabilità? Su #campolibero – che è già legge – abbiamo sentito valutazioni un po’ fumose. Sul resto, silenzio. D’accordo che c’è stata la crisi della frutta estiva e l’embargo della Russia, però il sistema italiano dell’ortofrutta dovrà pur dare giudizi e valutazioni motivate sugli atti del governo, perché si presuppone che nell’elaborazione di quegli atti un po’ di azione di lobby l’abbia fatta. O no? O lasciamo fare tutto alle organizzazioni professionali e ad Agrinsieme?
Via al bando del Masaf "Frutta e verdura nelle scuole" con 14 milioni di dotazione. A scanso di equivoci sarà bene specificare Frutta e verdura "fresca" nelle scuole *
EXPORT, UN PIANO PER LA PROMOZIONE MA MANCANO I NUMERI
Allora non è più un marchio ma si parla di un “segno”, il che è una buona notizia. Nel pacchetto agroalimentare inserito nel decreto Sblocca Italia – messo a punto dal Ministero dello Sviluppo economico con il Mipaaf – ci sono le norme di “Promozione straordinaria Made in Italy” e tra le quattro direttrici di intervento c’è la “realizzazione di un segno distintivo unico per le produzioni agricole e agroalimentari al fine di favorirne la promozione all’estero e durante l’Esposizione Universale 2015”.
Quindi non si parla più di un marchio del made in Italy (idea lanciata dal santone-mercante Oscar Farinetti) aggiuntivo alla pletora di bolli e bollini già oggi correnti sul mercato ma di qualcosa di diverso, più ‘leggero’ e forse più efficace. E in grado di non sollevare liti e contenziosi con eventuali altri possessori di marchi del genere (pare che ce ne sia uno). Allora, oltre al ‘segno’, nel provvedimento sono 3 le direttrici di intervento previste specificamente per il sostegno del food&wine italiano nel mondo: valorizzazione delle produzioni di eccellenza, in particolare agricole e agroalimentari, e tutela all’estero dei marchi e delle certificazioni di qualità e di origine delle imprese e dei prodotti; sostegno alla penetrazione dei prodotti italiani nei diversi mercati, anche attraverso appositi accordi con le reti di distribuzione; realizzazione di campagne di promozione strategica nei mercati più rilevanti e di contrasto al fenomeno dell’Italian sounding.
Tutto questo – dice il ministro Martina – per far decollare l’operazione “Quota 50”, “perché vogliamo aiutare le aziende a fare un salto di qualità e aumentare il fatturato delle esportazioni dai 33 miliardi del 2013 ai 50 che si possono realizzare nel 2020”. Tutto bene, anzi benissimo: la lotta al falso Made in Italy, la riconoscibilità delle produzioni italiane, il segno distintivo… Poi le piattaforme logistico distributive e gli accordi con le reti di distribuzione all’estero. Il comunicato del Ministero (datato 29 agosto) è un fiume in piena e propone interventi del tutto condivisibli e attesi da tempo. Peccato che non venga fatto un numero che sia uno. Quanto costa tutto questo? Verosimilmente serve un fiume di denaro: c’è una previsione di spesa e di relativa copertura? Altrimenti siamo al libro dei sogni. Poi per stare all’ortofrutta che al piano “Quota 50” può dare una spinta decisiva: qualcuno si sta occupando di quanto incidono sul settore gli interventi finora approvati dal governo, da #campolibero a questo piano per il made in Italy, al futuro collegato Agricoltura alla Legge di stabilità? Su #campolibero – che è già legge – abbiamo sentito valutazioni un po’ fumose. Sul resto, silenzio. D’accordo che c’è stata la crisi della frutta estiva e l’embargo della Russia, però il sistema italiano dell’ortofrutta dovrà pur dare giudizi e valutazioni motivate sugli atti del governo, perché si presuppone che nell’elaborazione di quegli atti un po’ di azione di lobby l’abbia fatta. O no? O lasciamo fare tutto alle organizzazioni professionali e ad Agrinsieme?
Lorenzo Frassoldati
direttore del Corriere Ortofrutticolo
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