Arriva sul tavolo della Commissione Ue la proposta di inviare a Londra una lettera di messa in mora (formal notice) per le etichette cosiddette "a semaforo" che da un anno segnano gli alimenti venduti nei supermercati delle isole britanniche. La decisione. come riporta La Stampa, è stata presa dai capi di gabinetto dell’esecutivo.
La formalizzazione è attesa stamane nella riunione del collegio. Per l’Italia è la prima vittoria in (ancora) una lunga battaglia per la difesa delle prerogative della sua industria alimentare, e non solo di questa. Nel mirino la raccomandazione del Dipartimento nazionale della Salute inglese che, puntando alla lotta all’obesità, ha suggerito alla grande distribuzione di marchiare con un bollino rosso, giallo o verde i prodotti a seconda del contenuto di sale, zuccheri e grassi. La valutazione non è mediata, al punto da sconsigliare il parmigiano e promuovere le bibite gasate. Bruxelles trova la mossa discriminante perché scoraggia certi acquisti, penalizza l’industria e distorce il funzionamento del mercato interno.
In gennaio era stata aperta una procedura pilota – una sorta di pre-istruttoria – in cui si sollevavano dubbi e si domandavano chiarimenti ai britannici. Era il punto d’arrivo di un’azione pressante della diplomazia italiana a Bruxelles che, a partire dall’autunno 2013, aveva posto la questione all’attenzione di tutti consigli dei ministri competenti, dall’agricoltura alle politiche europee. Londra aveva denunciato "malintesi", sostenendo che l’etichetta "è volontaria, non stigmatizza i prodotti “buoni” o “cattivi”, ma vuole aiutare i consumatori a identificare ciò che è adatto a un buon regime alimentare".
La lettera di messa in mora per “presunta violazione del principio di libera circolazione delle merci” a carico del nuovo sistema di etichettatura nutrizionale adottato dal Regno Unito sarebbe lo stadio iniziale della procedura contro il Paese britannico, al quale sarebbe dato del tempo per adeguarsi, pena il proseguimento dell’azione che potrebbe portarlo in corte di Giustizia. Fonti italiane stimano che per la dieta mediterranea l’etichetta a semaforo è una minaccia da 6/700 milioni di potenziali perdite. Uno studio ha dimostrato che oltre la metà dei consumatori rispettano il messaggio letto sulla confezione, dunque se vedono “rosso” finiscono per non comprare, senza tener conto che l’effetto non è assoluto, ma dipende dalle quantità consumate.
Sulla questione è intervenuta anche la Coldiretti secondo la quale l’avvio della procedura di infrazione da parte dell’Ue contro il semaforo in etichetta varato dagli inglesi salva le esportazioni Made in Italy, dai formaggi come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano all’olio d’oliva, fino ai salumi piu’ tipici come il prosciutto di Parma o Sana Daniele.
Il provvedimento del Regno Unito rende più difficile l’accesso al mercato per determinate categorie di merci. L’obiettivo del semaforo era quello di diminuire il consumo di grassi, sali e zuccheri ma – sottolinea Coldiretti -, non basandosi sulle quantità effettivamente consumate ma solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze, finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti come l’olio extravergine d’oliva e promuovere, al contrario, le bevande gassate senza zucchero, fuorviando i consumatori rispetto al reale valore nutrizionale. Il semaforo rosso penalizza, infatti, la presenza di materia grassa superiore a 17,5 grammi, quello giallo tra 17,5 grammi e 3 grammi e il verde fino a 3 grammi. Una scelta che è già stata adottata in molti supermercati in Gran Bretagna – rileva Coldiretti – a danno di alcuni settori cardine dell’export Made in Italy e, più in generale, dell’intero trend di consumo nel Regno Unito del cibo italiano, che nel 2013 ha fatto segnare un aumento del 6 per cento, per un valore di 2,8 miliardi. Non a caso l’Italia e altri paesi europei hanno messo in rilievo come il sistema del semaforo avrà un impatto negativo sul commercio, con la possibile presenza di barriere tra Stati membri, e quindi una violazione all’articolo 34 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, senza dimenticare l’irregolarità di inserire la presenza di un claim sulla nutrizione di tipo “non benefico”.