ETICHETTA SU TUTTO? DAL SONDAGGIO ALLA REALTÀ C’È DI MEZZO… IL MERCATO

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Oggi parliamo di etichettatura, argomento che rientra nella categoria “luoghi comuni”, quelli di cui si nutre ogni giorno la informazione in materia agroalimentare. Dal 1 aprile è entrato in vigore il nuovo sistema di etichettatura Ue che prevede l’indicazione d’origine in etichetta per le carni ovine, caprine, suine e avicole.

Prima osservazione: allora l’Europa a qualcosa serve… Qualcuno lo dovrà spiegare a tutti quei politicanti che sulla disinformazione e sulla facile polemica anti-Europa ogni giorno campano e lucrano voti. Poi il ministero ha svolto un sondaggio on-line sull’argomento e ne ha diffuso i risultati. Che ovviamente sono quasi scontati: oltre il 96% dei consumatori ha dichiarato che è molto importante che sull’etichetta sia scritta in modo chiaro e leggibile l’origine dell’alimento e per l’84% è fondamentale ci sia il luogo in cui è avvenuto il processo di trasformazione. Per 8 italiani su 10 assume un’importanza decisiva al momento dell’acquisto che il prodotto sia fatto con materie prime italiane e sia trasformato in Italia, a seguire il 54% controlla che sia tipico, il 45% verifica anche la presenza del marchio Dop e Igp, mentre per il 30% conta che il prodotto sia biologico.

Poi il piatto forte: quasi l’82% dichiara di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell’origine e provenienza italiana del prodotto, con quasi la metà pronta a pagare dal 5 al 20% in più. Insomma origine e trasparenza sarebbero un valore aggiunto in grado di far aprire il borsellino agli italiani con maggiore disinvoltura. Bene, allora, avanti con con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza per tutti i prodotti alimentari. La ricetta magica per alzare i consumi e far spendere di più gli italiani l’abbiamo trovata. Evviva. Ma è proprio così? Una premessa: origine, trasparenza e provenienza italiana per noi sono valori veri, “non negoziabili”, come si dice. E che il mondo dell’ortofrutta ha sempre avuto nel suo dna. E che magari ha avuto il torto di non valorizzare appieno. Ma questo è un altro discorso.

Partiamo dal sondaggio: se vi chiedono se preferite un alimento con l’indicazione dell’origine o uno senza, cosa rispondete? Se preferite sapere da dove viene quello che mangiate o se preferite non saperlo, cosa rispondete? Non bisogna essere il mago Otelma per indovinare. Poi italiani disposti a spendere di più per la certezza dell’origine: sarà vero? Non l’indicazione del sondaggio ma la volontà di spendere effettivamente di più? Chi lo può dire… sta di fatto che finora i consumi sono calati, anche di quegli alimenti che già hanno l’etichetta di origine. E questo è un dato di fatto. Poi l’etichetta su tutto servirà ad alzare i prezzi dei prodotti, a dare più valore aggiunto alla filiera? Qui i consumatori potrebbero non essere d’accordo perchè quelli vogliono l’alta qualità a basso prezzo. Ma la cosa interessa molto il mondo produttivo-commerciale. Finora i prezzi (come i consumi) hanno seguito logiche estranee al tema dell’etichettatura, o comunque con un nesso molto blando causa-effetto.

Allora? Allora avanti pure con l’etichetta, per carità, ma parliamo anche di altro, di filiera inefficiente, di organizzazione commerciale carente, di frammentazione e competizione esasperata, di rappresentanza inadeguata, di un mondo agroalimentare ingessato e costretto in assetti antistorici e ormai palesemente obsoleti. Poi se con l’etichetta ‘universale’ cambierà il mondo, allora faremo una grande festa.

 

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

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