ESTATE DA INCUBO, TRA CIMICE E PREZZI KO. IL TRENO DELL’EXPORT SU UN BINARIO MORTO

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Usciamo da una estate nera, sotto tutti gli aspetti. Ci mancava solo la crisi politica a rendere il quadro ancora più complicato, ai limiti del grottesco. I nemici di ieri, proprio di ieri, di pochi giorni fa, diventano (forse) gli alleati di oggi. E domani? E’ un altro giorno, si vedrà. Nel paese-manicomio le sorprese non finiscono mai, un giornale ha titolato correttamente: “Siamo su scherzi a parte”. Basti pensare che ai primi di agosto l’attuale ministro (dimissionario) all’Agri-Turismo, Gian Marco Centinaio, era in corsa per un posto di Commissario (forse all’Agricoltura) nel nuovo Esecutivo Ue. Un posto di primissimo piano. Adesso (mentre scriviamo è il 25 agosto) Centinaio è più vicino ai banchi dell’opposizione assieme alla Lega, mentre a Bruxelles (forse) ci andrà l’ex premier Conte.

Comunque le capriole, i cambi di casacca, le giravolte non sono finite. C’è anche il caso che ci ritroviamo un governo del Presidente che porta alle elezioni in autunno, con un ministro ‘tecnico’, che magari vorrà occuparsi solo e soltanto di agricoltura. Quasi una rivoluzione…

Battute a parte, il quadro dell’ortofrutta è davvero a tinte fosche mentre tutto il nostro sistema agricolo è in sofferenza (aldilà della retorica sulle nostre ‘eccellenze’). La campagna della frutta estiva è finita in profondo rosso come prezzi medi colpita e affondata dal clima folle e dai consumi inesistenti fino a metà giugno. La campagna primaverile (fragole e ciliegie) non era andata meglio.

L’Italia va male. E l’export? I dati Fruitimprese del primo quadrimestre 2019 certificano un continuo slittamento in rosso della nostra bilancia commerciale dell’ortofrutta dopo un brutto 2018. In quantità importiamo più ortofrutta di quella che esportiamo e in valore ormai siamo lì: 1,5 miliardi di export contro 1,3 di import. Inevitabile il calo (crollo?) del saldo attivo (-45%) sceso a 228 milioni. Solo per un raffronto: era circa 1 miliardo (su base annua) nel 2017. Di questo passo il primo semestre della nostra ortofrutta si annuncia pesantissimo. Non vale più neppure quello che ci ripetiamo da sempre: i nostri prodotti costano di più perché la nostra qualità ha costi più elevati. I dati ci dicono invece che esportiamo più frutta fresca ma a prezzi sempre più bassi. Il trend dell’andamento del nostro commercio estero significa una cosa sola: che ci stiamo giocando l’internazionalizzazione del settore. Un quadro davvero preoccupante che temo sarà confermato dai dati del primo semestre.

Durante l’estate le rappresentanze del settore non sono state ferme. Il 9 luglio le due Unioni nazionali dell’ortofrutta (Italia Ortofrutta e Unaproa) hanno chiesto ‘con urgenza’ al ministero un tavolo di crisi per la frutta estiva. La richiesta cade nel vuoto, nessuna risposta. Poi esplode il problema dei trattamenti post raccolta di patate (e pere in prospettiva). Il 21 giugno i presidenti di Alleanza cooperative agroalimentare e Fruitimprese (non proprio gli ultimi arrivati) scrivono al ministro Centinaio chiedendo un suo intervento normativo in merito all’uso delle sostanze veicolanti utili a rendere efficaci i trattamenti. Il presidente di Agripat, Matteo Tedeschini, dice alla stampa: “E’ emergenza, aspettiamo risposte dal governo”. Anche qui un muro di gomma, nessuna risposta.

Poi, terza emergenza, la cimice asiatica. Ai primi di agosto scatta l’allarme per i raccolti di pere (e mele in prospettiva). Il presidente di Alleanza cooperative, Giorgio Mercuri, cui fanno seguito analoghe richieste delle tre professionali agricole, chiede ufficialmente un tavolo urgente di crisi, allargato anche agli altri Ministeri competenti (Salute, Ambiente) e a tutte le Regioni coinvolte. Qui il ministero si sveglia e concede il sospirato Tavolo di crisi. Siamo all’8 agosto, data fatidica in cui Salvini dichiara guerra ai 5Stelle e mette in crisi l’alleanza di governo. Tutto si ferma. I problemi dell’ortofrutta possono aspettare.

In attesa di capire come finirà la crisi politica e quale governo arriverà, una conclusione si può trarre, anzi due. La prima è che l’esperienza del ministero dell’Agri-Turismo è stata deludente, se non fallimentare. Colpa del ministro, inadeguato e svogliato? Colpa della struttura ministeriale sclerotizzata e burocratizzata? Certo che di un ministero così il mondo produttivo non sa che farsene: se non sta lì a risolvere i problemi delle imprese, che ci sta a fare? Abbiamo l’esempio di alcuni assessori regionali che per capacità e dinamismo sono assai meglio di qualunque ministro, finito lì quasi per caso dopo che tutte le altre poltrone sono state assegnate.

Seconda conclusione. Il sistema ortofrutta, se non vuole rassegnarsi ad un rapido declino, deve trovare al suo interno le forze per reagire, almeno per non perdere il treno dell’internazionalizzazione, che per noi è strategico. Il futuro della nostra ortofrutta sono i mercati rionali o i commerci mondiali? Sarebbe bene deciderlo. L’Italia non cresce, non investe. L’ortofrutta va al seguito, tranne qualche segmento innovativo (IV gamma, biologico, frutta secca, tecnologie). Serve un baricentro, una cabina di regia, per chiedere un piano strategico per l’ortofrutta. Serve l’unità di tutte le componenti, di tutti gli attori perché siamo di fronte ad una crisi di sistema. Il tempo è davvero scaduto.

Lorenzo Frassoldati

direttore del Corriere Ortofrutticolo

l.frassoldati@alice.it

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